Vendere armi alla Cina? – 2

di Andrea Gilli

La scorsa settimana il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha chiesto al Congresso americano di abrogare l’embargo di armi alla Cina per quanto riguarda la vendita di aerei per trasporto tattico C-130. In questo articolo rispondo ad una semplice domanda: è una buona idea vendere armi alla Cina?

La domanda è importante perché, alla richiesta di Obama, è subito seguito l’interesse di Finmeccanica che, per esempio, si è detta interessata a vendere il suo C-27J Spartan alla Cina.

In primo luogo, bisogna sottolineare che questi sono aerei da trasporto tattico. Ovvero permettono un trasporto di uomini e mezzi limitato e su tratte limitate. La Cina quindi non avrà mezzi per la proiezione del proprio potere militare su tratte transoceaniche.

In secondo luogo, come è evidente, questi sono mezzi militari ma non sono armi in senso proprio. Non sparano, non uccidono. Certo, c’è l’eventualità che vengano usati per trasportare uomini e mezzi pesanti in una regione ribelle per poi compiere un massacro. Ma questo dilemma riguarda gran parte delle tecnologie civili avanzate: i loro usi, ed effetti, militari possono essere enormi, anche se né l’inventore né il venditore li aveva contemplati.

A questo punto, bisogna ragionare sul perché USA e, nel caso, Italia, vogliano modificare l’embargo. La ragione si trova nella crisi internazionale e negli effetti dei tagli ai bilanci della difesa sia sulla situazione economica finanziaria delle aziende del settore che sul lato occupazionale. Dal punto di vista americano, inoltre, c’è la spinosa questione del deficit commerciale con la Cina e sui suoi effetti sul rapporto dollaro-yen.

E’ lecito, e saggio, lasciare che a determinare le capacità militari di possibili avversari siano pressioni economico-commerciali? Per rispondere bisogna guardare alle conseguenze di questa proposta. Queste possono essere divise in due parti. Da una parte ci sono le conseguenze militari. Dall’altra quelle industriali e tecnologiche.

Dal punto di vista militare, come detto, i mezzi militari in discussione incrementeranno le capacità di trasporto tattico cinese. Capacità importanti ma che, da sole, non daranno alla Cina l’egemonia sull’Est Asia.

E’ quindi dal punto di vista tecnologico-industriale che vengono le maggior insidie. Infatti, il rischio è che la Cina possa incorporare queste tecnologie, sfruttarle, e quindi poi sviluppare in autonomia dei mezzi analoghi o addirittura superiori. Ovviamente non è possibile rispondere in poche righe.

Per aver successo su questo fronte, la Cina deve però disporre di industrie che riescano copiare, integrare e sfruttare le nuove tecnologie all’interno delle proprie strutture produttive per poi sviluppare autonomamente prodotti  in grado di stare al passo con gli sviluppi americani (o italiani). Su questo è lecito sollevare più di un dubbio. Mezzi come il C-130 o il C27J Spartan sono complicati, richiedono l’integrazione di decine di migliaia di componenti, precisione e un altissimo livello ingegneristico. Non è detto che la Cina possa copiare un C-130 con la facilità con cui copia le borsette di Louis Vuitton. Per fare un esempio, gli USA hanno trasferito tecnologie ai loro alleati per tutta la Guerra fredda, eppure solo i Paesi europei sono riusciti ad interiorizzare e replicare le tecnologie americane – spesso, comunque, senza mai pareggiare il livello americano ma restando sempre almeno una generazione indietro.

A ciò si aggiunge poi la questione dell’indipendenza: comprando prodotti americani o italiani, la Cina sarà dipendente da questi Paesi per il mantenimento, riparazione e per i pezzi di ricambio per diversi anni, se non decenni.

In definitiva, vendere armi alla Cina può non essere una cattiva idea, specie se la distribuzione dei benefici di questa cooperazione è altamente asimmetrica – e a nostro favore.


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