Troppo peso alla politica può far saltare il deficit

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

Si è più volte sottolineato che vi sono molte differenze tra la condizione delle istituzioni finanziarie al tempo della Grande Depressione e quella odierna. Vi sono tuttavia anche degli interessanti paralleli nella tipologia dei problemi e nelle risposte dei governi. Ad esempio, nel 1932 l’Amministrazione Hoover istituì la Reconstruction Finance Corporation (RFC), un’agenzia governativa la cui missione iniziale fu di erogare aiuti ai governi statali e locali ed a banche, ferrovie, imprese agricole. Nel 1933, Franklin Delano Roosevelt mantenne in vita l’agenzia e ne ampliò l’ambito di intervento, con l’Emergency Banking Act che le permise di acquistare azioni privilegiate delle banche, proprio come sta accadendo oggi con l’Emergency Economic Stabilization Act. Ieri come oggi, il potere politico cercò di “persuadere” le banche a trasformare le iniezioni di capitale governativo in accresciuta disponibilità di credito a imprese e privati.

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Europa, attenta alla sindrome islandese

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

Venerdì scorso il primo ministro islandese, Geir Haarde, nel tentativo di rinfrancare i propri connazionali, traumatizzati dal dissesto delle tre principali banche del paese, ha detto che l’Islanda resta ricca di risorse naturali, e che da ora in avanti vivrà di quelle e delle altre due principali fonti di ricchezza, l’oceano ed il capitale umano. I giornali hanno avuto buon gioco a titolare sul premier che invitava i propri connazionali ad andare a pesca, ma la clamorosa insolvenza del sistema bancario islandese, crollato sotto il peso della forsennata finanziarizzazione degli ultimi anni, rappresenta un monito all’Europa ed ai suoi egoismi nazionali. Qualche numero aiuterà a meglio comprendere lo scenario.

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Il nuovo mondo multipolare – risposta ad Angelo Panebianco

di Andrea Gilli

La crisi finanziaria ha delle implicazioni sulla struttura delle relazioni politiche internazionali? Sul Corriere della Sera del 10 Ottobre, Angelo Panebianco sembra suggerire di sì. Con un’interessante analisi, secondo il politologo bolognese staremmo verosimilmente entrando in una fase multipolare della storia internazionale. Purtroppo, aggiunge sempre Panebianco, ci sono molti motivi per temere che questa nuova fase sia più insidiosa e pericolosa dell’attuale.

Il giudizio di Panebianco è per molti versi condivisibile, se non altro perchè di multipolarizzazione delle relazioni internazionali, su Epistemes, ne parliamo praticamente da due anni. Nel suo articolo vi sono però almeno tre grandi contraddizioni che stupiscono sia per la loro grossolanità che per il fatto che sia stato uno studioso serio come Panebianco ad averle commesse.

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L’Iran e leggende che diventano realtà – Risposta a Barry Rubin

di Mauro Gilli

Spesso, a forza di ripetere una storia, ci si convince che sia vera. E’ quello che è successo negli ultimi anni per quanto riguarda la liberazione degli ostaggi americani rapiti in Iran dopo la rivoluzione khomeinista del 1979. Stando alle interpretazioni di alcuni opinionisti, il regime di Teheran avrebbe liberato i 52 ostaggi americani per via del timore che la nuova amministrazione guidata da Ronald Reagan potesse rispondere in modo duro al torto subito. Secondo questa vulgata, prima ancora che Reagan alzasse un dito (la liberazione avvenne proprio pochi minuti dopo che Reagan assumesse la carica di Presidente degli Stati Uniti), gli ayatollah, spaventati da cosa potesse capitare loro, si sarebbero fatti prendere dalla paura, e avrebbero deciso di venire a più miti consigli.

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Perché è arrivato il momento di riaprire il dossier sul mercato del lavoro

di Piercamillo Falascada L’Occidentale di mercoledì 8 ottobre 2008

Pur rischiando il “controcorrentismo”, chi scrive dice che il famoso applauso dei lavoratori di Alitalia alla notizia della rottura della trattativa tra la Cai e i sindacati, confederali ed autonomi, fu atto assolutamente comprensibile e razionale. Sbagliato gridare alla irresponsabilità, come hanno fatto diversi esponenti politici, soprattutto dalle parti della maggioranza. Pura razionalità. Si può mai immaginare – ad esempio – che una squadra di calcio, laddove si trovi a giocare in undici contro dieci, si lasci convincere dall’allenatore avversario a rinunciare “responsabilmente” ad un giocatore? Siamo onesti: chi di noi non si sarebbe comportato esattamente come i dipendenti di Alitalia, se si fosse trovato in quella situazione?

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Rassegna Epistemica: sviluppo e commercio internazionale

di Mauro Gilli

Secondo alcuni commentatori, tra le sue tante vittime, la crisi finanziaria in corso potrebbe presto annoverare la deregolamentazione e la liberalizzazione dei mercati. Gli attacchi al laissez-faire risultanti dal dissesto che ha colpito gli Stati Uniti potrebbero infatti colpire i tentativi di molti paesi (specialmente quelli in via di sviluppo) di adottare misure pro-mercato e di aprirsi ulteriormente ai commerci mondiali – l’unica strategia in grado di permettere loro di alleviare la povertà.

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Nuova politica monetaria cercasi

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

L’approvazione dell’Emergency Economic Stabilization Act riveduto e corretto è stata accolta dal mercato azionario con l’ennesimo ribasso, a ribadire che la gravità dei problemi va ben oltre l’intervento deciso. Eppure, in un momento di profondo pessimismo di mercati ed analisti, è opportuno evidenziare alcuni elementi potenzialmente positivi contenuti nel pacchetto adottato. In primo luogo, l’aumento da 100.000 a 250.000 dollari dell’assicurazione pubblica sui depositi fornita dalla Federal Deposit Insurance Corporation, che servirà a rassicurare soprattutto le piccole e medie imprese e a ridurre il rischio di corse agli sportelli.

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Bush grande presidente?

di Andrea Gilli

George W. Bush è stato un grande presidente? Carlo Panella, su l’Occidentale del 3 Ottobre, dice di sì. Fondamentalmente, secondo Panella, il merito di Bush starebbe nell’aver capito la gravità della minaccia islamista e nell’aver trasformato la politica estera americana, a livello operativo: dal puntare sulle élite nazionali, attraverso la surge di Petraeus, Bush ha spostato l’attenzione sulle popolazioni locali così da ottenere il successo della sua politica.
L’analisi è molto interessante, non condivido però il giudizio finale – quello appunto per cui Bush sarebbe stato un grande presidente. Allo stesso tempo, non credo neanche che Bush abbia sbagliato tutto. La mia opinione è che abbia sbagliato molto, ottenendo alcuni importanti successi ma anche sonori fallimenti. Provo nelle righe che seguono a esplicitare la mia opinione.

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