di Andrea Gilli
George W. Bush è stato un grande presidente? Carlo Panella, su l’Occidentale del 3 Ottobre, dice di sì. Fondamentalmente, secondo Panella, il merito di Bush starebbe nell’aver capito la gravità della minaccia islamista e nell’aver trasformato la politica estera americana, a livello operativo: dal puntare sulle élite nazionali, attraverso la surge di Petraeus, Bush ha spostato l’attenzione sulle popolazioni locali così da ottenere il successo della sua politica.
L’analisi è molto interessante, non condivido però il giudizio finale – quello appunto per cui Bush sarebbe stato un grande presidente. Allo stesso tempo, non credo neanche che Bush abbia sbagliato tutto. La mia opinione è che abbia sbagliato molto, ottenendo alcuni importanti successi ma anche sonori fallimenti. Provo nelle righe che seguono a esplicitare la mia opinione.
I successi e gli insuccessi di Bush credo corrispondano fondamentalmente alle macro-aree geografiche del pianeta: Europa, Eurasia, Africa, America Latina, Medio Oriente ed Estremo Oriente.
In Asia, gli Stati Uniti hanno svolto la politica migliore. Bush ha deciso di spostare parte delle truppe di stanza in Europa nelle basi situate nella regione, ha deciso di rafforzare le basi marittime nel Pacifico, ha rafforzato la cooperazione economica e militare con India, Vietnam e Giappone e ha instaurato delle basi militari in Asia centrale – obiettivo mai ottenuto prima da potenze geopolitiche marittime. In altre parole, se la Cina diventerà la minaccia del futuro, gli Stati Uniti sono pronti ad affrontarla. E se sono pronti a farlo, il merito va dato a George W. Bush.
In Asia sono stati certamente commessi degli errori. Il Pakistan è più instabile che mai e aver premuto per la sua democratizzazione ha solo peggiorato la situazione, mentre la questione nord-coreana è tutt’altro che risolta. A mio parere, però, queste sono minuzie rispetto all’impresa costruita per contrastare la Cina – che è la grande incognita del nuovo secolo.
In Europa si trova il secondo, e ultimo, grande successo americano. Gli USA sono riusciti ad impedire la costruzione di uno Stato Europeo – di fatto la più grande minaccia geopolitica alla loro supremazia. In questo contesto, si è riusciti a riportare la Francia all’interno dell’alveo NATO – altro risultato di portata enorme. Infine, al vertice NATO di Bucarest, gli Europei hanno dato il loro assenso allo scudo missilistico in Europa – di fatto la pedina fondamentale per completare lo spostamento del baricentro in Asia. Spostando infatti la propria proiezione verso l’Estremo Oriente, gli Stati Uniti hanno lasciato in parte scoperta l’Europa. Con lo scudo cercano di difenderla sostituendo con la tecnologia l’impossibilità di dispiegare uomini in loco.
Ricapitolando, il processo di integrazione europeo si è impantanato, evitando così la nascita di un pericoloso competitor per gli Stati Uniti, e con lo scudo missilistico, Washington continua a gestire la difesa dell’Europa – evitando così che la Russia possa allargare i suoi orizzonti verso Ovest.
A questi due traguardi vanno ovviamente opposti gli ambigui risultati nelle loro relazioni con la stessa Russia, con il Sud America e con l’Africa. La politica adottata in Europa dall’amministrazione americana è certamente la principale responsabile del peggioramento delle relazioni con Mosca. In politica non si può vincere sempre – un successo da un lato significa un problema da un altro. Difendere l’Europa, con lo scudo, significa avere una Russia più aggressiva – a mio parere, però, gli USA sono riusciti a peggiorare le relazioni con Mosca più di quanto fosse necessario. Per esempio, l’indipendenza del Kosovo, l’ingresso nella NATO dei Baltici o la politica verso l’Ucraina sono state tutt’altro che mosse intelligenti. Tutti questi popoli potevano tranquillamente essere sacrificati per aggiudicarsi la pacatezza russa. E questi errori sono particolarmente gravi perché di fatto hanno indebolito la stessa Europa. La Georgia è infatti un tassello essenziale per la sicurezza energetica europea, passando attraverso il suo territorio la pipeline TBC e iniziando al suo confine il progetto Nabucco. E’ chiaro che, con i recenti screzi con la Russia, la posizione della Georgia è compromessa e dunque anche in parte il progetto di garantire forniture energetiche all’Europa.
Per quanto riguarda il Sud America, Bush è riuscito ad ottenere la cooperazione del Brasile – che, va ricordato, alla vigilia dell’elezione di Lula, sembrava destinato a diventare una sorta di grande Cuba. Dall’altra parte, le relazioni con Bolivia e Venezuela sono peggiorate notevolmente. Il Messico sta diventando un Paese dominato dai narcotrafficanti mentre in Centro-America la situazione non sembra in miglioramento.
La questione africana sembra essere una non-questione. Gli USA sono riusciti ad assicurarsi qualche rifornimento energetico, ma non hanno ottenuto molto di più, e in particolare non sono riusciti a contrastare l’infiltrazione cinese e iraniana. Su questo fronte, probabilmente, Bush potrebbe essere ricordato come il Presidente che non ha agito in tempo per prevenire l’infiltrazione nemica. Maggiore cooperazione con l’Europa sarebbe, forse, stata necessaria. Di sicuro il prossimo presidente farà bene a concentrarsi meglio e di più su questa regione.
Il grande fallimento di Bush, invece, riguarda il Medio Oriente. L’Iraq non e’ pacificato, e comunque da essere un Paese fondamentalmente non minaccioso è diventato il focolaio dell’instabilità regionale – dopo averci speso delle somme assolutamente folli. L’Iran ha continuato il suo programma nucleare. La Turchia appare sempre più un alleato incerto – anche per via della radicalizzazione identitaria della sua popolazione, risultato non del tutto estraneo alla politica statunitense. Il Libano ha già dimenticato la primavera dei cedri, mentre la pace tra Israeliani e Palestinesi, come si poteva prevedere, non e’ stata raggiunta. Forse l’unico capitolo positivo riguarda l’Arabia Saudita che non rischia più di essere travolta da un’insurrezione islamista. Dire che questo e’ un successo, però, rispetto ai risultati e agli obiettivi prefissati, è davvero difficile.
Conviene dunque tornare ai due punti segnalati da Panella. Bush avrà anche saputo identificare la minaccia islamista. Di sicuro, però, non ha saputo affrontarla – visto che in Afghanistan i talebani sono sempre più forti. Bush avrà anche compiuto una rivoluzione nella politica estera americana, attraverso la dottrina Petraeus – però, non sembra che questa rivoluzione abbia raggiunto molti risultati.
In definitiva, quando Bush è salito al potere, gli Stati Uniti non avevano dei nemici significativamente minacciosi. Salito al potere è arrivata, per sua sfortuna, la minaccia islamista, che però, come i fatti afghani ci dimostrano, non è stata debellata. Nel frattempo, la sua politica estera ha portato molti Paesi ad opporsi più vigorosamente all’America. Non ha quindi sconfitto il nemico che voleva battere, e ha trasformato alcuni alleati in rivali e alcuni rivali in nemici. Non esattamente i risultati che ci si attende da un grande presidente.
3 risposte a “Bush grande presidente?”
daccordo sulle buone mosse in asia e sugli errori in chiave anti-russa,ma non sulla nord corea,che ad oggi
è meno pericolosa che in passato anche grazie alla deterrenza cinese.
sulla questione iraq credo bisogna comparare il tutto a come sarebbe la situazione con saddam ancora al potere:
a livello regionale la situazione non sarebbe certamente migliore,la questione israelo-palestinese sarebbe ancor più tesa(i “premi” del regime per ogni attacco sono un fatto appurato),il rincaro del petrolio avrebbe gettato ulteriore benzina sulle smanie del dittatore (vedi chavez) e l’iraq avrebbe continuato ad essere un elemento destabilizzante per i paesi vicini alleati degli americani.
dall’altro lato va detto che i costi (economici e di credibilità) della guerra per l’america sono stati superiori alle previsioni e ad oggi il paese non è certo pacificato e la quantità di risorse spese per l’iraq hanno reso consapevole l’iran che gli usa difficilmente decideranno d’imbarcarsi in un’altra avventura in MO.
su venezuela e bolivia l’amministrazione bush paga semplicemente la vulgata anti-americana tipica del terzomondismo latinoamericano di cui morales e chavez sono espressione,non ci sono fatti o colpe specifiche se non quella di mantenere un atteggiamento “imperialista” ed anti-castrista (sai che novità).
non sono daccordo sull’afganistan,pur con tutti i problemi attuali,la situazione è migliore di quando lo stato era retto dai talebani con tanto d’ospitalità in pompa magna per bin laden e con i campi d’addestramento per provetti terroristi.
sul pakistan concordo che la via democratica non sia necessariamente la migliore, il rischio di rimpiangere musharraf è alto.
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Caro Ferrari, brevemente:
1) La Corea del Nord è meno pericolosa. Punto. due bombe nucleari non rappresentano una minaccia per nessuno se non per la stessa Corea del Nord che rischia, visto il suo status tecnologico, di farsele scoppiare in casa.
2) Iraq: Saddam non era una minaccia. Era un bad guy, ma non aveva la forza per minacciare alcuno. Era funzionale a contenere l’Iran, lo abbiamo abbattuto e così l’Iran si è raffrzato.
3) Sul Sud America: che non ci siano colpe è tutto da vedere (golpe tentato contro Chavez nel 2002). Sta di fatto che non ci sono di sicuro meriti nella politica USA. Nessun successo, intendo.
4) Afhanistan: non confondiamo i giudizi di fatto con i giudizi di valore. Il dato è che l’Afghanistan rischia di ritornare sotto i talebani. Non male come risultato, specie per un’amministrazione che ha sempre detto di voler sconfiggere il terrorismo.
Saluti, ag.
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1)daccordo
2)oltre a bad era anche piuttosto mad e non so quanto fosse ancora uno strenuo nemico dell’iran… di certo l’impegno economico-militare che gli usa han riversato sull’iraq s’è rivelato un grosso aiuto per il regime degli ayatollah.
3)si, di positivo forse non han fatto nulla,però non si può negare che in quel continente il sentimento anti-usa sia radicato da decenni al di là di chi ci sia alla casa bianca in quel momento,oltre a ciò terrei in considerazione l’assioma che più un governo è demagogico-populista e più ha bisogno d’un nemico per legittimarsi
4)sì,ma nasce da un banale raffronto: tra un Paese sotto i talebani e uno che rischia di tornarci credo sia comunque preferibile la seconda opzione.
cordialmente,
andrea
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