Con la rete “libera” sparirà la rete

di Piercamillo Falasca – articolo pubblicato il 5 agosto 2008 su LiberoMercato

Da qualche anno ferve nel mondo, in particolare negli Stati Uniti, un dibattito insieme ideologico e specialistico, quello sulla cosiddetta “net neutrality”, la neutralità di Internet. Come tutte le dispute ideologiche, è spesso mal posta. Essendo molto tecnico, poi, il problema non sembra ancora interessare il grande pubblico. Eppure parliamo di una questione di importanza vitale per i prossimi decenni, che riguarda il funzionamento del mercato e la spinta all’innovazione e allo sviluppo tecnologico che sarà possibile imprimere in futuro.

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E’ Wall Street il punto debole di Bernanke

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

Ha ragione Oscar Giannino quando, analizzando le nascenti fondamenta teoriche della futura attività di vigilanza della Fed, tratteggiate a Jackson Hole da Ben Bernanke e basate sull’affascinante concetto di “macrovigilanza sistemica”, assimila il processo di comprensione di tali concetti all’arte divinatoria. La verità è che tutti, nell’ultimo anno, ci siamo interrogati su cosa potesse essere andato storto in quell’irresistibile macchina da soldi che è (era) la securities industry statunitense. E dopo questa domanda, che ha ricevuto risposte necessariamente parziali e non esaustive, tutti abbiamo cercato di ipotizzare le linee guida di una nuova regolazione, che contemperasse mercato ed innovazione, minimizzando sia le distorsioni al gioco di domanda e offerta ma anche l’azzardo morale che sembra essere la pietra angolare su cui l’edificio di “quella” finanza è stato costruito.

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Brevi insegnamenti della Guerra in Georgia

di Andrea Gilli

I recenti scontri in Georgia tra truppe russe ed esercito georgiano hanno attirato l’attenzione di tutta la comunità internazionale. La situazione, già complicata di suo, è presto degenerata e al momento risulta ancora difficile capire quali saranno i suoi sviluppi. Anziché addentrarci in improbabili previsioni, in questa sede preferiamo provare ad identificare alcune lezioni generali che possono essere tratte da questa guerra.

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La guerra fredda del petrolio

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

Le grandi compagnie petrolifere occidentali stanno vivendo un periodo difficile: margini di profitto in compressione, ridotta capacità di innovazione derivante dal protratto sottoinvestimento in tecnologia ed impianti, crescenti limitazioni di accesso alle grandi aree di produzione ed esplorazione nel pianeta, un modello di business sempre più in discussione. Dopo un dominio (anche geostrategico) durato oltre mezzo secolo, l’esplosione dei prezzi ha decisamente spostato l’ago della bilancia del potere a favore dei paesi produttori e delle loro compagnie statali. I produttori stanno infatti chiedendo quote crescenti degli utili da esplorazione e produzione, e sempre più spesso si verificano autentici espropri ai danni delle compagnie occidentali.

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Giochi di Pechino: Evitiamo brutte figure

di Mauro Gilli

Il Ministro per la Gioventù Giorgia Meloni e il presidente dei Senatori del Partito delle Libertà Maurizio Gasparri hanno invitato gli atleti italiani arrivati a Pechino ad un “gesto forte” contro il mancato rispetto dei diritti umani in Cina. Questo gesto forte dovrebbe tradursi nel disertare la parata inaugurale delle Olimpiadi, che si terrà l’8 Agosto nella capitale cinese.

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Calano le ore lavorate, non i licenziamenti

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

Il rapporto sul mercato del lavoro statunitense in luglio, pubblicato venerdì scorso, mostra dati di occupazione e disoccupazione complessivamente coerenti con l’attuale fase del ciclo economico. Quello che occorre indagare è tuttavia la possibilità che l’andamento dell’occupazione possa davvero aver toccato il fondo. Il dato più eclatante dell’ultimo employment report è quello relativo al totale delle ore lavorate, diminuite in luglio dello 0,4 per cento, maggior flessione quest’anno. La durata della settimana lavorativa media si è ulteriormente ridotta di 6 minuti, a 33 ore e 36 minuti, il peggior risultato dall’inizio delle rilevazioni di questa serie storica, nel 1964. L’aggregato delle ore lavorate include sia gli impieghi soppressi che la riduzione di orario, per esigenze congiunturali. Sono i cosiddetti part-timers involontari, il cui numero in luglio è aumentato di 300.000 persone, portando il totale a 5,6 milioni, un incremento di quasi un milione e mezzo di unità nell’ultimo anno. I lavoratori part-time sono quasi il 4 per cento del totale degli occupati, dal 3 per cento di un anno fa, nuovo massimo dal 1993. La riduzione del numero di ore lavorate ha colpito soprattutto nel settore delle costruzioni (28 per cento degli impieghi coinvolti), seguito dal commercio al dettaglio (14 per cento) e dal settore dei servizi professionali ed alle imprese (13 per cento).

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Indennizzo a metà ai precari tedeschi

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

Poiché l’estate è la stagione delle tempeste nei bicchieri d’acqua, vale la pena (si fa per dire) segnalare l’ultima della serie: la “sanatoria” che il parlamento si appresterebbe a varare, nel maxi-emendamento alla manovra economica, e che preclude alla magistratura del lavoro che riscontri irregolarità sul ricorso ad uno o più contratti a termine la possibilità di obbligare il datore di lavoro a riammettere in servizio il lavoratore con un contratto a tempo indeterminato. Se la norma diventerà legge, il datore di lavoro potrà erogare un indennizzo, variabile tra le 2,5 e le sei mensilità, ma non potrà essere obbligato a reintegrare il lavoratore precario. Misura che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) applicarsi solo alle vertenze in atto, e pare essere stata introdotta per evitare ad alcuni grandi datori di lavoro (uno su tutti, Poste Italiane) di essere costretti a riassumere alcune migliaia di lavoratori, circostanza che scaverebbe voragini nei conti aziendali.

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Rassegna Epistemica – Le lezioni della Storia

di Mauro Gilli

Nel suo libro Every War Must End (New York: Columbia University Press, 2005 [1971]), Fred Charles Iklè, oggi ricercatore emerito presso il Center for Strategic and International Studies di Washington, sottolineava come in politica estera, i leader politici tendano a richiamare fantomatiche lezioni della storia di valore universale per suffragare le loro politiche correnti. Sfortunatamente, spesso queste lezioni non sono affatto appropriate alla realtà contemporanea, portando così a gravi, se non addirittura catastrofici, errori.

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