di Mauro Gilli
Il Ministro per la Gioventù Giorgia Meloni e il presidente dei Senatori del Partito delle Libertà Maurizio Gasparri hanno invitato gli atleti italiani arrivati a Pechino ad un “gesto forte” contro il mancato rispetto dei diritti umani in Cina. Questo gesto forte dovrebbe tradursi nel disertare la parata inaugurale delle Olimpiadi, che si terrà l’8 Agosto nella capitale cinese.
Il compito degli atleti – è bene ricordarlo – è quello di competere ai massimi livelli nelle proprie discipline sportive, non quello di condurre la politica estera del loro Paese. La politica estera è infatti qualcosa di serio e molto importante, che proprio per questa ragione deve essere lasciato a chi di merito. Che due esponenti di primo piano del Governo e della maggioranza al Senato deleghino responsabilità politiche agli atleti italiani è indicativo del decadimento intellettuale e politico del nostro Paese. C’è da augurarsi che gli sportivi italiani mostrino più maturità dei loro rappresentanti politici, e dunque non rispondano a questi richiami di stampo populista.
D’altronde, proprio per via delle posizioni che essi ricoprono, se il ministro Meloni e il Senatore Gasparri avevano delle lamentele o istanze da porgere, avrebbero potuto, mesi addietro, chiedere che l’Italia non partecipasse ai Giochi Olimpici di Pechino. Un boicottaggio totale. Chiedere agli atleti italiani, a tre giorni dall’apertura dei giochi, di non prendere parte alla cerimonia inaugurale è tanto ipocrita, quanto inutile. Perché, infatti, la cerimonia inaugurale no, e le olimpiadi sì? E inoltre, detto in modo franco, che beneficio porterebbe dare un “gesto forte” come questo ai cinesi?
Nei mesi passati, era emersa la possibilità che il presidente francese Nicholas Sarkozy e quello americano George Bush boicottassero la cerimonia inaugurale. Alla fine, il buon senso – e la ragion di Stato – ha prevalso, ed entrambi i leader hanno formalmente accettato l’invito cinese. Qui non si vuole fare retorica, lasciamo che altri invochino lo “spirito delle Olimpiadi”. Il punto centrale che ci interessa sottolineare è uno: se con un Paese si vuole cooperare, allora bisogna farlo in modo serio. Se si vuole invece adottare una politica intransigente, allora sia. Questa moda sempre più comune nei Paesi occidentali di cooperare sotto banco, per poi lanciare critiche altisonanti in pubblico, è meschina e controproducente: crea solo disorientamento e frustrazione negli altri Paesi, oltreché nell’opinione pubblica interna.
La Cina – malgrado alcune interpretazioni assai originali – è un attore centrale della politica mondiale. Sempre di più i suoi interessi entreranno in contrasto con quelli di altri grandi Paesi, gli Stati Uniti in primis. La Cina vorrà partecipare alle decisioni globali, ossia vorrà far valere i suoi interessi e le sue istanze. L’Occidente – e quindi anche l’Italia – può scegliere. Si può optare per una politica “dei diritti umani”, con il rischio di non portare a casa alcun beneficio in questo campo, e, allo stesso tempo, compromettere seriamente ogni tipo di cooperazione in altri settori centrali come la politica monetaria, la tutela dei diritti di proprietà, l’uso efficiente delle risorse energetiche, e la lotta al cambiamento climatico. Oppure si può scegliere un approccio del tutto diverso: tentare di risolvere i potenziali conflitti con Pechino attraverso la diplomazia e il dialogo (su questo tema, si guardi l’articolo del Segretario al Tesoro americano, Henry M. Paulson Jr., “The Right Way to Engage China,” su Foreign Affairs del prossimo mese), lasciando così il tema dei diritti umani in secondo piano.
La scelta è politica. Ai politici l’onere e l’onore di adottare la politica migliore per difendere gli interessi del loro Paese. Delegare questa scelta agli sportivi mostra una preoccupante immaturità politica.
Scopri di più da Epistemes
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
I commenti sono chiusi.