Perche’ gli inglesi se ne vanno da Bassora

di Andrea Gilli

Dopo alcune settimane di dibattito, la Gran Bretagna ha iniziato a ritirarsi da Bassora. A pochi giorni dalla diffusione del famigerato rapporto Petraeus (dal quale sembrano dipendere le sorti del conflitto iracheno), la scelta sembra infliggere un duro colpo tanto alla tenuta della coalizione dei volenterosi che alla volonta’ americana di restare in Iraq.

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L’Impero dei mutui

di Mario Seminerio

La crisi dei mutui subprime attualmente in corso sui mercati finanziari internazionali, e lungi dall’essere conclusa, sta sollevando alcune interessanti problematiche, destinate forse a rimettere in discussione la leadership statunitense nella statuizione delle “regole del gioco” sui mercati globali. Come ha scritto di recente il New York Times, politici, regolatori e specialisti finanziari fuori dagli Stati Uniti stanno cercando un ruolo nella supervisione di mercati, banche ed agenzie di rating statunitensi, dopo il crac dei subprime. L’argomentazione è lineare: gli Stati Uniti esportano prodotti finanziari, ma le perdite inflitte agli investitori di tutto il pianeta suggeriscono che i regolatori americani hanno fallito nel monitorare ed allertare gli investitori sui rischi.

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Good morning, Moody’s

di Mario Seminerio

Chris Mahoney, vicepresidente di Moody’s ha dichiarato, nel corso di una conferenza telefonica, di temere un default di fondi hedge di portata comparabile a quello che nel 1998 colpì Long Term Capital Management, “il fondo dei Nobel”, costringendo le banche centrali, sotto il coordinamento della Fed, ad intervenire con una serie di tagli ai tassi d’interesse. L’incapacità del mercato a prezzare gli asset rischiosi si tradurrebbe in una disordinata liquidazione delle posizioni, sotto la pressione delle richieste di rimborso da parte dei clienti, ed innescando l’evaporazione della liquidità di mercato, reso improvvisamente cieco nel quantificare la reale entità delle perdite subite dagli intermediari.

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Gettare benzina sul fuoco/2

di Andrea Asoni, Antonio Mele e Mario Seminerio

Poche ore fa è uscito su Epistemes.org un articolo che presenta una articolata critica alle recenti mosse del governo Prodi volte a calmierare il prezzo della benzina in Italia. Parte della critica riportava come fosse il peso eccessivo delle tasse a gravare sul prezzo della benzina in Italia, piuttosto che il prezzo industriale del carburante ed eventuali comportamenti oligopolistici (secondo calcoli effettuati qualche mese prima da noi).

Leggiamo ora che il ministero delle Finanze, per bocca del sottosegretario Alfiero Grandi, ribadisce che il “permanere di prezzi alti, come ormai noto [enfasi nostra], può essere attribuito, nella sostanza, principalmente all’esistenza in Italia, di un forte oligopolio petrolifero”. Si aggiunge inoltre che il Bel Paese non è il paese a tassazione più alta.

Poiché non ci piace ragionare per “fatti noti”, ma solo in base a dati certi, abbiamo rifatto i conti usando gli ultimi dati disponibili (Oil Bulletin, 2 luglio 2007).

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Gettare benzina sul fuoco

di Andrea Asoni, Antonio Mele e Mario Seminerio

In questi giorni il Governo, per voce del ministro Bersani, ha convocato le compagnie petrolifere per chiedere conto degli (secondo Bersani) eccessivi rincari della benzina.

In un articolo pubblicato qualche tempo fa abbiamo spiegato come un governo realmente interessato a far diminuire il prezzo della benzina debba preoccuparsi di tagliare le tasse che pesano sul carburante. Tale articolo commentava l’iniziativa del ministro Bersani volta a liberalizzare la distribuzione della benzina. L’argomento principale sosteneva che, nel caso specifico del prezzo del carburante, un taglio delle tasse era uno strumento più consono agli obbiettivi annunciati della riforma (diminuzione del prezzo della benzina).
A tali considerazioni oggi aggiungiamo qualche breve riflessione, scaturita dalla preoccupante tendenza del governo Prodi a intervenire in maniera dirigista sulle scelte delle imprese, soprattutto in determinati settori.

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L’affondamento

di Mario Seminerio

Per chi crede ancora a Babbo Natale, ed è convinto che l’Italia sia avviata verso un radioso avvenire, a patto di “consolidare la ripresa” (?), come direbbe il nostro ineffabile premier, segnaliamo che oggi l’Istat ha pubblicato l’indice della produzione industriale di giugno, che segna una flessione mensile dello 0,5 per cento ed annuale dello 0,1 per cento. La flessione è imputabile in larga misura al marcato calo dei beni di consumo non durevoli (meno 4,6 per cento annuale). Si tratta di un dato che stride con le stime di consenso, che ipotizzavano un incremento mensile dello 0,3 per cento, e che accentua il ruolo dell’Italia come anello debole della catena europea, in questa fase congiunturale. Ma soprattutto segnaliamo (visto che non sembra più di moda farlo, da un annetto a questa parte) che la World Bank ha pubblicato il proprio rapporto annuale Doing Business, un indice sintetico di quanto risulta agevole (o meno) intraprendere e mantenere un’attività produttiva in un paese. Quest’anno l’Italia si segnala per il robusto arretramento nella classifica generale: dalla posizione 69 alla 82. Bel colpo.

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Vladimir Ilyich Mussi e Josef Vissarionovich Padoa Schioppa

di Antonio Mele

Immaginate che uno di questi giorni estivi in cui vi godete le vacanze in riva al mare, un rappresentante del governo venga intervistato in televisione e faccia la seguente dichiarazione: “È terribile che ci siano persone che non hanno amici con cui passare i giorni di vacanza. Queste persone sono vittime di un sistema che emargina, attraverso l’esclusione dalle cerchie amicali, gli individui più timidi, quelli più antipatici e quelli meno attenti alla propria igiene personale. Nello stesso tempo, alcune persone tradiscono la fiducia dei propri amici, in varie forme, con la menzogna e con l’inganno, lasciando l’amico tradito infelice e segnato per sempre. Questa situazione è diventata intollerabile, e una nazione civile si deve far carico dei suoi cittadini meno fortunati. Non è colpa loro se la Natura non ha dato loro un carattere espansivo; d’altronde, è la stessa nostra società iniqua, divisa tra chi è naturalmente divertente e carismatico e chi non lo è, a creare le barriere che portano al formarsi di sacche di disagio dove gli antipatici sono esclusi; e in fondo, la questione dell’igiene personale è una questione privata, sulla quale non dovremmo creare discriminazioni oggi nel 2007; purtroppo la realtà è ben diversa, e chi non si lava viene perlomeno guardato con occhio storto, quando non scacciato apertamente dai benpensanti profumati. Pertanto, da domani partirà un programma governativo, il Piano Amicizia, che raccoglierà informazioni su ogni singolo per poter decidere in modo efficiente con chi egli dovrà stringere amicizia, con due obiettivi: dare almeno un amico a tutti coloro che non ce l’hanno, e correggere le storture create dall’inefficiente allocazione degli amici potenzialmente infedeli.

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Rassegna stampa – Il mercato non va all’università

Proponiamo ai nostri lettori l’articolo di Nicola Lacetera e Mario Macis, pubblicato originariamente sul sito de lavoce.info

di Nicola Lacetera e Mario Macis

Il 3 maggio, il ministro dell’Università e della ricerca, Fabio Mussi, ha presentato la sua proposta di regolamento per il reclutamento dei ricercatori.
Il nuovo processo consiste di due fasi. Nella prima, una commissione di sette revisori esterni (cinque italiani e due stranieri), effettua una scrematura dei candidati, sulla base delle “pubblicazioni scientifiche, o altre tipologie di prodotti scientifici”. (1) Nella seconda fase, una commissione interna all’ateneo che ha bandito il concorso valuta a) i curricula scientifici e didattici; b) le lettere di referenza sottoscritte da esperti esterni all’ateneo; c) i giudizi espressi dai revisori esterni; d) una prova seminariale pubblica; e) i “pareri valutativi” espressi da “strutture didattiche e scientifiche dell’università ” dove il concorso è stato bandito.
La proposta Mussi rivela alcuni elementi di indubbia novità, che si richiamano al sistema anglosassone: dalle lettere di presentazione alla prova seminariale. Tuttavia, non pare destinata a incidere efficacemente sulla realtà universitaria italiana.

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