No al rating di stato, più mercato

di Benedetto Della Vedova e Piercamillo Falasca, da Libero Mercato di mercoledì 5 settembre 2007

La crisi dei subprime ha posto dei seri interrogativi sul ruolo di un anello fondamentale del sistema finanziario internazionale: le società di rating. La prima critica mossa contro di loro è stata la revisione tardiva del rating sui mutui. Era già avvenuto nella vicenda Enron, ma la scala globale del caso subprime ha accentuato il disappunto degli investitori. Contro le agenzie di rating si sono mossi dei capi di governo, in primis Merkel e Sarkozy (che proprio alla Merkel, presidente di turno del G8, ha scritto una lettera sul tema). A ruota la Commissione UE, che ha annunciato l’apertura di un’inchiesta sulla funzionalità delle agenzie in termini di valutazione del management e gestione dei conflitti di interesse.

Più la crisi si inaspriva, più aumentavano le accuse a carico delle “tre sorelle” del rating (Fitch, S&P, Moody’s). La più grave è l’ipotesi di “concorso” con le banche nella gestione delle cartolarizzazioni e dei Cdo sui mutui. Da giudici imparziali, le agenzie di rating sarebbero divenute dei collaboratori nell’elaborazione di prodotti finanziari sempre più complessi. Se così fosse, l’ottimismo delle agenzie nella valutazione delle emissioni non sarebbe stato il frutto di errori tecnici, ma di scelte deliberate. Molte di queste accuse sono probabilmente eccessive.
Le agenzie di rating non sono soggetti pubblici né svolgono una funzione pubblica. Esse nascono come mezzi di informazione, soggetti ai soli principi della libertà di stampa ed al mercato. Come ha notato Mario Seminerio su Epistemes.org,

“mettere sotto inchiesta comunitaria alcune aziende private che hanno venduto i propri servizi, in regime di libera contrattazione, ad altre aziende è un non-senso. Se le valutazioni delle agenzie si sono dimostrate sbagliate dovrebbe essere il mercato, e non Bruxelles, a sanzionare”.

Ciò detto, un problema esiste. Il settore del rating è fortemente oligopolistico, da decenni limitato a soli tre operatori a causa delle severe barriere all’ingresso poste dalla SEC americana (i mercati europei hanno di fatto un ruolo marginale). Qualche giorno fa Giulio Tremonti ha parlato di anomalia istituzionale. In effetti, è quanto meno discutibile che uno dei meccanismi vitali di controllo del mercato sia affidato ad un oligopolio. La mancanza di concorrenza non aiuta la qualità del settore e lo sviluppo di metodi di valutazione innovativi e trasparenti.

Probabilmente (e nell’interesse delle stesse agenzie), il sistema finanziario necessita di un mercato del rating più ampio, aperto ad una varietà di agenzie specializzate in ambiti peculiari (i derivati dei subprime, ad esempio), per tipologia di strumento o per area geografica. Nelle dichiarazioni di Sarkozy e nelle iniziative della Commissione sembra invece celarsi la proposta di una maggiore regolamentazione europea, al limite la creazione di un’autorità indipendente per il rating. Una cura peggiore del male da curare: è illusorio pensare che una iper-regolazione del settore o un’agenzia pubblica possano essere la chiave per l’efficienza e la trasparenza dei mercati finanziari. Si tratta di un riflesso statalista: le troppe regole non garantiscono maggiore efficienza (come dimostra la severa regolazione della SEC, che non ha impedito la situazione attuale) e un’agenzia pubblica non sarebbe immune da errori di valutazione o da fenomeni di capture.

Qualche mese prima della missiva di Sarkozy, Merkel ha ricevuto una lettera da un gruppo di parlamentari italiani (tra cui uno degli estensori di questo articolo), con la quale le si chiedeva di interessare i governi del G8 della necessità di promuovere una effettiva apertura al mercato delle attività di rating, anche rivedendo l’attuale regolamentazione (a partire naturalmente da quella della Sec). Quando vi è un problema nell’assetto di un mercato, lo si può risolvere solo promuovendo “più mercato”, non inseguendo l’illusione che lo Stato saprebbe fare meglio.


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