Tagli d’imposta e spesa pubblica, Obama sbaglia calcoli

di Mario Seminerio – © LiberoMercato

Mentre la recessione statunitense si aggrava di mese in mese, come testimoniato anche dall’andamento dell’occupazione, l’indicazione delle linee guida del piano di stimolo dell’Amministrazione Obama ha suscitato perplessità e polemiche, sia per l’entità della manovra (che rischia di essere insufficiente rispetto al crollo dei livelli di attività che va delineandosi) sia per il mix di interventi prescelti. In particolare, Obama prevede che il 40 per cento dell’intervento possa essere rubricato alla voce “tagli di tasse”. Ciò ha immediatamente sollevato le vivaci ed argomentate rimostranze di Paul Krugman. Il premio Nobel 2008 per l’Economia sostiene che, data la relativa esiguità del pacchetto rispetto alla contrazione, occorre massimizzare l’impatto sulla domanda aggregata dei singoli interventi. Il calcolo di Krugman si basa sulla cosiddetta Legge di Okun, l’antica (e gloriosa) relazione empirica che lega le variazioni di Pil a quelle della disoccupazione.

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Stimoli fiscali a livello globale per spingere la ripresa

di Mario Seminerio – © LiberoMercato
Nelle ultime settimane il cambio della valuta cinese contro dollaro ha evidenziato il sostanziale arresto del movimento di rivalutazione dello yuan che durava da circa due anni. Ciò si è verificato in parallelo alla pubblicazione di dati macroeconomici cinesi che hanno segnalato un progressivo e marcato deterioramento di manifattura, export ed investimenti. Ciò solleva interrogativi circa l’emergere di comportamenti che potremmo definire protezionistici in senso lato, tra i quali figura la gestione del cambio. Una conseguenza della crisi finanziaria sono i deflussi di capitale dai paesi emergenti che nelle scorse settimane, al culmine della crisi, hanno contribuito all’apprezzamento del dollaro. Poiché deflussi di capitale, per essere sostenibili, necessitano di surplus commerciali, si comprende agevolmente il desiderio dei paesi emergenti di attutire lo shock cercando di aumentare il proprio export. Ovviamente, se un crescente numero di paesi tenta di puntellare il proprio Pil attraverso le esportazioni, gli squilibri mondiali sono destinati ad aggravarsi, e con essi il rischio di crescenti pulsioni protezionistiche.

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Samuel Huntington. E’ morto un genio

di Mauro Gilli

Quando un illustre personaggio della cultura viene a mancare, è difficile resistere alla tentazione di descriverne la vita, e soprattutto le opere, ricorrendo a elogi mistici. Cadere in questa tentazione sarebbe però il peggiore modo per ringraziare Samuel Huntington, politologo americano mancato il 24 dicembre scorso.

Huntington era un genio e non lo celava, come la sua pagina personale sul sito dell’università di Harvard teneva a precisare: a 23 anni aveva già ottenuto laurea, master e dottorato, e aveva già iniziato ad insegnare. A differenza di molti altri studiosi, ha scritto pochi libri, che però sono diventati delle colonne portanti nei loro rispettivi campi. Huntington non si è fatto sopraffare dalla frenesia del publish or perish che contraddistingue la comunità accademica americana, ma ha preferito portare avanti le sue ricerche con grande passione, arrivando a stabilire alcuni punti fondamentali della disciplina.

Alcuni dei suoi lavori hanno condiviso una sorte analoga: inizialmente accolti con grande scetticismo, se non addirittura con ostilità dal resto della comunità scientifica, si sono poi rivelati dei testi di riferimento dei loro rispettivi campi di interesse, dimostrando la genialità e acutezza del loro autore.

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I più letti nel 2008 su Epistemes

Tasse e lavoro: la differenza tra Usa ed Europa, di Michele Boldrin e Pierangelo De Pace; Un quoziente familiare per l’Italia, di Mario Seminerio; Conti dormienti e diritto di proprietà, di Benedetto Della Vedova e Piercamillo Falasca; Privatizzare le università? Non una cattiva idea, dopo tutto, di Antonio Mele; Salari, maledetti salari, di Michele Boldrin e Pierangelo De Pace; L’indipendenza … Leggi tutto

Disneyland finanziaria

Il disastro Usa è figlio di una truffa generalizzata

di Mario Seminerio – © LiberoMercato

Come uno stillicidio, la stampa statunitense riporta ormai su base settimanale le evidenze aneddotiche della grande abbuffata di credito facile che ha portato il paese sull’orlo della bancarotta. L’ultima storia è quella, raccontata domenica dal New York Times, di Washington Mutual, la banca di Seattle che, al culmine della propria espansione, apriva sportelli al passo di una catena di fast food, ed i cui manager si impasticcavano di metamfetamine per reggere il passo delle domande di mutuo, accolte sulla base di una semplice autocertificazione di reddito e patrimonio. E’ un vero articolo di costume, quello del New York Times, il costume di un’epoca: insegnanti che dichiaravano lo stipendio di broker di borsa, baby sitter che millantavano il reddito di presidi di college, un giardiniere con reddito mensile di 12.000 dollari.

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Barlumi

di Mario Seminerio

Negli Stati Uniti, il dato sulla spesa per consumi personali in novembre, pubblicato la vigilia di Natale, mostra un calo dello 0,6 per cento in termini nominali. Un dato certamente non positivo, ma forse destinato a contribuire ad una spesa per consumi del quarto trimestre meno disastrosa del previsto. Utilizzando la stima dei primi due mesi del trimestre, si otterrebbe infatti un calo della spesa reale per consumi personali nel quarto trimestre del 2,9 per cento, su base annualizzata. E’ verosimile che altri componenti del Pil, soprattutto gli investimenti, saranno molto deboli nel quarto trimestre, ma occorre considerare che l’attuale stima di consenso del Pil nel trimestre, pari a meno 5 per cento annualizzato, è basata su un calo della spesa dei consumi dell’ordine del 4-4,5 per cento. Quindi, se la tendenza dei primi due mesi del trimestre sarà confermata, e se non vi saranno crolli di altre componenti del Pil, è verosimile attendersi una revisione al rialzo del Pil del quarto trimestre, nel senso di una contrazione minore del previsto. Visti i tempi che corrono, bisogna farsi andar bene anche questo.

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La Fed allenta la politica monetaria e si incammina verso l’inflazione

di Mario Seminerio – ©LiberoMercato

In occasione del taglio dei tassi ufficiali di martedì scorso (con l’obiettivo dei Fed Funds indicato entro un corridoio compreso tra 0 e 0,25 per cento), la Federal Reserve ha emesso un comunicato  che per molti versi si può considerare storico, poiché in esso si fa riferimento alla possibilità di acquisti di titoli governativi a scadenza intermedia e lunga da parte della banca centrale, per combattere la trappola della liquidità in cui si trova l’economia statunitense. Molti osservatori hanno interpretato questo come l’inizio del processo di “quantitative easing”, cioè di allentamento su basi quantitative della politica monetaria. Ma la Fed, in alcune dichiarazioni di propri esponenti, ha osservato che vi sono fondamentali differenze tra la propria azione odierna e quella attuata anni addietro dalla Bank of Japan.

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Con la crisi tutti si affrettano ad aiutare le imprese invece di fare le riforme

di Piercamillo Falasca e Andrea Giuricin – da L’Occidentale

Infine è successo: l’aiuto che l’amministrazione Bush ha fornito al settore automobilistico lo scorso 19 dicembre è la prova che i governi hanno la memoria corta. Tante volte gli interventi pubblici di sostegno a grandi imprese e a importanti settori industriali sono stati la regola delle crisi, in America e ancor più in Europa, ma mai la soluzione. Nell’immediato, General Motors e Chrysler useranno i 13,4 miliardi di dollari (altri 4 miliardi giungeranno a marzo) concessi dal governo per sopravvivere ma le perdite accumulate (più di 50 miliardi all’anno) e le prospettive molto negative per il 2009 faranno sì che il prestito pubblico esaurirà i suoi effetti salvifici in pochi mesi, proprio come è accaduto ad Alitalia.

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