di Andrea Gilli
Scusate, ma pensavo ad uno scherzo. Invece è vero. Quest’anno a vincere il Nobel per la pace è stato Barack H. Obama, il presidente degli Stati Uniti che ha preso il potere lo scorso gennaio.
Obama ci piace. Chi ci legge non ha avuto problemi a capirlo. Obama si dice ispirato a Reinhold Niebuhr, il pastore protestante americano che negli anni ’40 dava lezioni di Realismo Classico alla società civile. Obama, non a caso, ha adottato una politica estera più simile a quella di Richard Nixon che non a Bill Clinton – come avevamo previsto. Nessuna perdita di tempo su democrazia e libertà da promuovere, nessuna visione messianica, nessuna aspirazione invereconda.
La sua volontà di dialogare con l’Iran, con i talebani, il suo ammorbidimento con la Russia, senza parlare della sua visione generale di politica estera, infatti, sono quanto noi chiedevamo da almeno quattro anni.
Ciò detto, il senso del Nobel ad Obama ci pare totalmente assente. Cosa ha fatto finora? Obiettivamente: poco. Anche se quel poco è andato nella giusta direzione. Il Comitato del Nobel lo premia per i suoi sforzi a favore della diplomazia, della pace, e del disarmo nucleare. Sforzi non vuole dire successo. E da un presidente degli Stati Uniti ci si aspetta un po’ più che semplici aspirazioni.
Speriamo davvero che le politiche di Obama volgano verso il meglio. Ma perchè ciò succeda, ci vuole tempo. Premiarlo ora, dunque, non ha proprio senso, anche perchè i risultati non solo sono lontani a venire, ma non possono neppure essere dati per scontati.
Finora eravamo abituati a Nobel per la pace controversi. Ora è stata creata la categoria dei Nobel preventivi.
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