di Andrea Gilli
Fin dall’inizio, la nostra opinione sulla politica estera americana dell’era Obama è stata positiva. Il nuovo presidente, a nostro parere, ha fatto molti dei passi necessari per ridare forza, credibilità e sicurezza agli Stati Uniti.
Ultimamente, però, si sono visti anche diversi errori. Nelle ultime settimane ne notiamo almeno due.
Il primo riguarda il modo in cui la questione dello scudo missilistico è stata approcciata. Lo scudo, per noi, ha complicato enormemente negli ultimi anni le relazioni con la Russia senza, allo stesso tempo, promettere guadagni sostanziali in termini di sicurezza dell’Occidente. La sua riconfigurazione era dunque più che necessaria. L’amministrazione Obama, però, ha compiuto un grosso errore d’immagine cambiando, nel giro di due sole settimane, la sua posizione per ben due volte. Prima si è parlato di spostare lo scudo in Israele e in Turchia. Mossa che noi avevamo fortemente apprezzato. Poi, d’un tratto, senza spiegazioni (leggi: dopo la dura opposizione contro questa alternativa), si è optato per il dispiegamento dello scudo in mare. Di fatto, un ridimensionamento dello scudo, visto che la sua concettualizzazione iniziale già prevedeva il dispiegamento di missili su piattaforme marine.
Così facendo, l’immagine che si è data è di una politica estera e di difesa schizofrenica, disordinata, confusa. Come si fa a pensare, adesso, che gli USA non cambieranno ulteriormente la loro posizione?
Il secondo errore riguarda il dialogo con Mosca. Con il ridimensionamento dello scudo si è voluto favorire il riavvicinamento con la Russia. Gli Stati Uniti, però, sembrano aver concesso troppo, senza ottenere nulla di concreto. Abbiamo rilevato come la loro posizione strategica li metta in balia di questi rischi e queste contraddizioni. Però, se sul fronte iraniano non ci si poteva aspettare troppo, era logico aspettarsi un semplice scambio: in cambio del retro-front in Europa orientale, non sembra eccessivo chiedere un passo indietro di Mosca in America Latina, dove Mosca sta truscando allegramente con il Venezuela.
Niente di tutto ciò, invece. Si sono buttate giù le carte, e poi si è chiesto di vedere.
Piccoli errori, finora. Il problema è che la politica “rilassata” di Obama volta ad enfatizzare il dialogo si basa fondamentalmente su un assunto: ridurre gli impegni esterni per poter favorire il rafforzamento interno dell’America. In altri termini, ridurre i nemici e gli avversari così che il governo si possa preoccupare di risolvere le sfide interne. Se, però, questo dialogo, anzichè rafforzare l’America, finisce per indebolirla – per via di passi falsi – allora conviene riconsiderare tutto l’impianto concettuale, o quanto meno alcuni dei suoi giocatori.