I problemi di una no-fly zone sulla Libia

di Andrea Gilli

I senatori americani John Kerry, John McCain e Mitch McConnell si sono detti a favore di una no-fly zone sulla Libia. Dell’alternativa se ne parla da settimane, oramai. Quasi tutti i media sostengono l’iniziativa. In questo articolo spiego perché una no-fly zone resta una opzione problematica.

Una no-fly zone è un’operazione militare che prevede l‘imposizione coercitiva di un blocco aereo su un dato territorio. L’idea di fondo consiste nel vietare all’aeronautica militare di un dato Paese di sorvolare determinati territori così da tutelare la popolazione contro possibili attacchi aerei.

Al di là degli altisonanti slogan umanitari, una no-fly zone sembra soprattutto offrire vantaggi evidenti e pratici alla comunità internazionale. In primo luogo, essa permetterebbe agli Stati occidentali di intervenire senza però dover ricorrere ad un dispiegamento di terra – che richiederebbe un impegno che questi ultimi non vogliono al momento assumere. Allo stesso tempo, una no-fly zone eviterebbe anche di creare quei problemi che sono generalmente associati ad interventi più diretti, come il caso afghano insegna.

Finora, la storia (limitata) delle no-fly zones ha prodotto risultati ambivalenti. La mia impressione è che nel caso della Libia, i risultati che questa mira a raggiungere siano difficili da ottenere.

In primo luogo, gli scontri in Libia hanno progressivamente preso la via della guerra civile. Gran parte degli scontri avviene prevalentemente a terra. Una no-fly zone è particolarmente efficace nel prevenire operazioni aeree, ma è di fatto inutile a livello terrestre. Dunque, anche in caso di intenti genocidi da parte di Gheddafi, se questi utilizzasse l’esercito per massacrare la sua popolazione, una no-fly zone sarebbe di fatto inutile.

A meno, ovviamente, o di un intervento di terra o di una partizione di fatto del Paese sulle coordinate della no-fly zone. Il problema è che questi due sviluppi sono esattamente quelli che vogliamo evitare con il nostro intervento. Sulle truppe di terra ho già detto sopra. L’integrità della Libia è invece la preoccupazione maggiore della comunità internazionale, in quanto, se messa in discussione, potrebbe creare spirali pericolose e difficili da gestire in tutta la regione.

Infine, c’è un fondamentale problema politico. La letterature sulle guerre civili insegna che un intervento esterno spesso rischia di complicare e prolungare ulteriormente il conflitto. Paradossalmente, dunque, il nostro intervento a favore della pace potrebbe esacerbare le violenze. Alterando gli incentivi degli attori in campo, un nostro intervento potrebbe spingere le parti su posizioni più radicali e dunque, in definitiva, impedire il raggiungimento di un compromesso. Non è difatti difficile immaginare che le richieste dei ribelli crescano esponenzialmente – forti del nostro supporto – e che dunque Gheddafi ricorra ancora più massicciamente alla forza per piegare gli insorti.

In conclusione, da più parti si chiede la creazione di una no-fly zone. Al momento, questa sembra tutt’altro che la panacea contro i mali che stiamo vedendo. In particolare, una no-fly zone non fermerebbe le violenze in corso e potrebbe spingerci in un circolo dal quale sarebbe poi difficile uscirne.

P.S.: qui uno dei pochi studi sulle no-fly zone e sulla loro efficacia.

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