di Mauro Gilli
In questo articolo voglio soffermarmi sul senso di appartenenza alla nazione italiana, argomento tornato alla ribalta dopo la performance di Roberto Benigni al Festival di Sanremo. Secondo alcuni, l’Italia e gli italiani non esisterebbero. Lo Stato Italiano e il nazioanlismo italiano sarebbero una creazione anti-storica che colpevolmente ignora le differenze tra i mille campanili della nostra penisola. E’ questa la tesi, ad esempio, di un articolo di Fabrizio Rondolino pubblicato su The Front Page, estratto dal suo libro intitolato appunto L’Italia non esiste.
E’ vero, l’Italia è una creazione recente, e gli Italiani non sono mai esistiti. D’altronde, fu Massimo D’Azeglio, come tutti noi abbiamo studiato a scuola, ad affermare: “Fatta l’Italia, dobbiamo fare gli italiani“. Anche gli Inglesi non esistono; e l’Inghilterra è un’invenzione; un’invenzione recente se consideriamo la storia a partire dalla comparsa dell’uomo di Neanderthal – ossia se non limitiamo la nostra analisi agli ultimi 400 anni, ma la allarghiamo agli ultimi 40.000. E così è anche per gli Spagnoli, per i Francesi, e ancora più chiaramente per gli Americani – a meno di non voler affermare che Afro-Americani e Irlandesi, Ispanici e Tedeschi abbiano davvero qualcosa in comune, oltre – appunto – al passaporto americano e alla lingua inglese.
Cosa possiamo dire, dunque, sul nazionalismo? Su questo fenomeno in generale, e sul caso italiano più in particolare?
Tutti i nazionalismi sono invenzioni. Il nazionalismo si basa sulla falsa convinzione che individui che non si sono mai incontrati e che non condividono alcun legame familiare siano uniti dall’appartenenza ad una entità più grande, che trascende lo spazio e il tempo. Ma ciò non è storicamente vero, per nessuna entità etnica, culturale e/o linguistica (l’unica possibile eccezione sono i Baschi). Il continente Europeo è stato caratterizzato nei millenni da massicce migrazioni e poi da numerose invasioni (dall’Asia e dall’Africa). Tutti i popoli europei – che ci piaccia oppure no – si sono “imbastarditi” nel corso della tempo. Quindi, se allarghiamo la nostra analisi ad un periodo storico più ampio, i nazionalismi appaiono chiaramente come invenzioni senza alcun tipo di giustificazione naturale, etnica, linguistica, geografica o storica.
I nazionalismi sono invenzioni recenti. Come ha spiegato Benedict Anderson nel suo Imagined Communities, il nazionalismo come fenomeno di massa è relativamente recente, ed è stato reso possibile solamente dal progresso tecnologico – l’introduzione dei caratteri mobili e la conseguente diffusione della stampa. Ciò ha permesso a queste idee di circolare, e di diffondere convinzioni mistiche su passati gloriosi e su valori comuni da difendere e per cui lottare. Nelle epoche precedenti, i fenomeni identitari erano al più relegati alle élite.
I nazionalismi europei si sono radicati per via di minacce esterne. La diffusione della stampa è stata una condizione necessaria, ma non sufficiente per lo sviluppo del nazionalismo. Un altro ingrediente fondamentale è stata la minaccia – percepita o reale – di un nemico esterno. Tutte le identità collettive si basano sulla contrapposizione del classico “noi contro di loro”, come avevano capito Johann Fichte, e dopo di lui Otto Hinze e poi Lewis Coser. Non è un caso che la prima manifestazione di massa del nazionalismo sia stata la chiamata alle armi dei “francesi” contro la minaccia straniera in occasione della battaglia di Walmy nel 1792. E così è stato anche per l’Italia, dove la presenza austriaca ha rappresentanto il collante che ha unito popoli diversi come, appunto, quelli della nostra penisola.
L’avanzamento tecnologico spinse gli Stati europei a promuovere il nazionalismo. Sviluppatosi spontaneamente, il nazionalismo è stato poi sfruttato in maniera strumentale dagli stati. In particolare, l’avanzamento tecnologico nel campo degli armamenti costrinse gli eserciti ad abbandonare la classica formazione “di linea” (per un esempio, si veda questa immagine). Con l’introduzione di armi più veloci da ricaricare, gli eserciti furono costretti ad adottare tattiche basate sulla dispersione dei soldati sul campo. Che a loro volta, però, incentivavano la diserzione. Gli Stati Europei trovarono nella diffusione del nazionalismo, come ha spiegato Barry Posen nel suo articolo “Nationalism, Mass Army and Military Power,” un modo per ovviare a questo problema: promuovere obiettivi comuni a scapito di quelli individuali.
Quali conclusioni possiamo trarre da queste considerazioni?
Prima conclusione. Affermare, come fa Rondolino, che l’Italia e gli Italiani non esistano è demenziale. Perché nessun popolo “esiste”. Le nazioni sono costruzioni politiche e sociali. Per definizione! Rondolino ha scoperto l’acqua calda, e crede pure di essere stato il primo. Quanto scrive dimostra la sua scarsa comprensione dei fenomeni sociali, nonché una limitata prospettiva storica. Usare come evidenza il fatto che la bandiera italiana sia stata introdotta da Napoleone e che l’inno di Mameli fosse “provvisorio” ne è un’ulteriore conferma. Tutte le bandiere, in un modo o nell’altro, sono ispirate ad altre; è un fatto talmente risaputo che ci si chiede in quale mondo Rondolino viva. Si guardino le bandiere della Malesia e degli Stati Uniti; della Tunisia e della Turchia; oppure ancora della Slovacchia e della Federazione Russa.
Seconda conclusione. Come i nazionalismi, anche gli altri sentimenti identitari non hanno alcuna giustificazione storica e/o geografica oggettiva. Dichiararsi “Torinesi”, “Sardi”, “Meridionali”, “Padani”, “Romani” non ha oggettivamente senso, perché significa identificarsi e provare empatia per individui che non si conoscono e che mai si incontreranno. Legittimo, ma razionalmente non logico. Inoltre, identificarsi con un gruppo geografico come “i Torinesi”, ad esempio, significa credere nella continuità di questa entità nella storia, quando questa entità non solo è relativamente recente – se si considerano gli ultimi 40.000 anni di storia – ma non è neanche legata in modo lineare al passato, se si considerano le invasioni, le migrazioni e le conquiste straniere che hanno modificato e trasformato l’area geografica che oggi chiamiamo, appunto, Torino.
In altre parole, così come non esistono “gli Italiani” non esistono neanche i Piemontesi, i Siciliani, i Napoletani o i Vicentini.
Terza conclusione. Lo sviluppo di identità nazionali è un processo storico, promosso dall’innovazione tecnologica (la stampa e lo sviluppo in armamenti) e dalle necessità degli Stati. Senza considerare questo aspetto, nessuna riflessione può avere senso, perché decontestualizzata. Pertanto, invece di cercare prove sull’inesistenza dell’Italia, Rondolino si sarebbe dovuto chiedere come mai i protagonisti del nostro Risorgimento, da Silvio Pellico a Pisacane, da Mazzini a Cavour, arrivarono a convincersi che una nazione Italiana esistesse, e a lottare per essa.
Quarta conclusione. Ognuno è libero di giudicare il processo di unificazione italiano e lo sviluppo di sentimenti patriottici come meglio crede. Questi processi, però, vanno guardati in prospettiva, contestualizzati, e comparati con quanto accaduto negli altri paesi. Altrimenti, si tratta solo di chiacchiere da bar di poco valore.
8 risposte a “L’Unità d’Italia, il Risorgimento e il patriottismo italiano”
Mauro, prendersela con uno come Rondolino e’ come sparare sulla croce rossa ma, in questo caso, riesci a spararti sui piedi. Siccome ho scoperto questo articolo attraverso la tua presentazione del medesimo su FB in cui lo dedichi a tutti noi “ciarlatani” anti-italiani, mi permetto di usare toni simili, che mi vengono per altro facili assai.
Se tu avessi applicato la tua stessa ricetta, ossia “Questi processi, però, vanno guardati in prospettiva, contestualizzati, e comparati con quanto accaduto negli altri paesi” alla VERA storia d’Italia post 1750 (non a quella immaginaria che ti insegnarono al liceo su programma gentiliano ed alla quale sembri ancora credere!) allora, forse, saresti riuscito a capire che il nazionalismo italiano ha natura profondamente diversa da quello inglese, francese, spagnolo e tedesco. Infatti, assomiglia molto a quello belga e come quello belga ha dato i risultati che ha dato. Ma la storia, evidentemente, non e’ il tuo forte, come non lo e’ l’applicazione coerente dei tuoi stessi precetti metodologici.
In particolare, c’e’ una semplice e banale domanda alla quale tutte queste chiacchere (non da bar, ma da caffetteria di liceo) non rispondono. La domanda si basa su un fatto:
– com’e’ spieghi che se chiedi a 1000 francesi se si sentono anzitutto francesi, piuttosto che marsigliesi, parigini o baschi, 970 ti rispondono che sono anzitutto francesi MENTRE, se fai la stessa domanda in Italia sono, quando va bene, 500 o meno quelli che ti rispondono in modo simile?
Finche’ non rispondi a questa domanda in modo anche solo minimamente credibile, queste altro non sono altro che chiacchere copiate dal bignami.
Ci sono poi altre domande, sempre basate sui fatti, a cui occorre rispondere per capire la differenza fra la realta’ chiamata Italia e quella chiamata Francia, ma gia’ rispondere a questa insegnerebbe svariate cose che, apparentemente, ignori.
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Michele
io mi riferivo a Rondolino. Mi spiace tu ti sia sentito tirato in causa – no, non ce l’avevo con te anche perchè non sapevo che appartenessi al gruppo degli anti-italiani. Quindi, no reason to take it personally.
Veniamo al punto: sentirsi “francesi” è esogeno o endogeno al processo di formazione dello stato moderno? Qui sta la questione.
La tua domanda sorvola questo tema e sembra assumere che essere francesi sia un “dato oggettivo”. Ma la Francia non esisteva nell’anno 500, e non esisteva nell’anno zero, e non esisteva nell’anno 500 avanti cristo e nell’anno 1000 avanti cristo, così come non è esistita per gli ultimi 39.000 dei 40.000 anni di storia umana (i.e., da quando le prime comunità sociali sono emerse).
Sì, i francesi sì sentono più francesi degli italiani. Ma questo, appunto, è il risultato del processo di formazione dello stato francese… Assumere che i francesi siano sempre esistiti è storicamente sbaglaito. Perchè i francesi sono stati creati. Così come sono stati creati gli italiani. La differenza è che questo processo è iniziato prima in Francia, sotto condizioni più favorevoli.
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Senza che lo si consideri un precedente, per una volta mi trovo d’accordo con Gilli.
I sentimenti identitari hanno una giustificazione sentimentale del tutto rispettabile (io sono “torinese” perché lì ho le mie radici dirette, perché lì sono nato, perché lì ho vissuto per molto tempo e perché lì risiede la mia famiglia, e voglio che si sappia) ma la loro traslazione all’ambito storico non appare sensata.
Quando questa avviene contribuisce a creare una narrativa del tutto distorta, usata il più delle volte a fini strettamente politici. Il caso spagnolo, ne parlo perché ci vivo, è emblematico al riguardo. Quando un sentimento di appartenenza individuale diventa fenomeno di massa, il nazionalismo si rivela in tutta la sua fallacia e pericolosità. Il fatto che tradizionalmente il sentirsi “collettivamente” italiano sia meno comune che il sentirsi “collettivamente” francese o catalano dipende da circostanze storiche determinatesi nel tempo, non da un vizio d’origine che altri non presenterebbero.
Saluti.
Enzo Reale
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No, no e no. Io sono lombardo e mi sento simile, sotto molteplici aspetti, ai lombardi. man mano che mi allontano dal centro della mia regione inizio a sentire, e non parlo di inflessioni dialettali, qualche piccola differenza con i popoli delle regioni confinanti. Basta con il dire che siamo tutti uguali e che non esistono delle carattesitiche di identità entro le quali uno si riconosce. Io e un napoletano siamo diversi. Non si tratta di definire, secondo quale scala poi, chè è meglio o peggio. Ma siamo diversi. Mi sento molto più “vicino” ai miei simili quando mi trovo in Austria che in Sicilia ! Anche se adoro la Sicilia.
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Tom: non so con chi se la stia prendendo: “Basta con il dire che siamo tutti uguali e che non esistono delle carattesitiche di identità entro le quali uno si riconosce.” Questo dove sarebbe scritto? Giusto per capirsi.
Ciò detto, le sue percezioni non sono qui in discussione. Che lei si senta lombardo non è molto rilevante. La domanda alla quale lei dovrebbe rispondere è la seguente: questo sentimento di appartenenza – sentirsi lombardi – è un sentimento che possiamo rintracciare per tutto il corso dell’umanità? O almeno, per una parte significativa della storia umana? La risposta è negativa. Solo 1500 anni fa (su 40.000 di storia umana), gli abitandi della regione che oggi chiamiamo Lombardia non si sentivano “lombardi”. Infatti, il nome stesso “Lombardia” deriva dall’invasione longobarda. Spero che questo non sconvolga troppo le sue certezze.
Alberto: grazie per la correzione.
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Messaggio per l’autore, credo che il nome corretto sia battaglia di Valmy, non di Walmy.
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Ma che importanza può avere il definire quando si è realizzata una identità lombarda ? Che sia successo 100 o 1000 anni fa non importa. Importa che oggi questo sentirsi simili esiste. Ci sono modelli comportamentali in cui mi riconosco, non ho bisogno di un periodo di “inserimento” per adattarmi ad usi e costumi diversi dai miei. Non riesco invece, per quanto mi sforzi, a trovare nulla che mi porti a dire io lombardo sono prima di tutto italiano.
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Ha importanza perchè era il punto central del mio articolo. Non mi è chiaro il senso del suo commento, se le era sfuggito.
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