L’ultimo videogame di Tremonti

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è tornato al suo antico cavallo di battaglia, quello che cavalca dall’inizio di questa crisi. Che per Tremonti è un videogame dove, abbattuto un mostro, si sale di livello e se ne deve affrontare un altro. E’ un’immagine logora e consunta, anche perché apre di solito la strada ad immancabili ruminazioni su quanto sono cattive le banche e gli speculatori, e sul fatto che noi italiani abbiamo affrontato bene la crisi, non avendo dovuto aiutare gli istituti di credito.

Tremonti sta attraversando un momento politicamente delicato: i retroscenisti politici in questi giorni sono sottoposti a superlavoro per informarci che il premier, Silvio Berlusconi, mostrerebbe segni di crescente insofferenza verso il suo superministro e la sua “politica della lesina”, oltre che per il mai cessato asse preferenziale di Tremonti con la Lega. Situazioni che mettono in imbarazzo quella parte delle redazioni dei giornali sempre impegnate a spellarsi le mani per l’azione di contenimento dei conti pubblici svolta dal tributarista di Sondrio, e che rischiano a breve di essere chiamate a scegliere tra i due protagonisti del teatrino.

Ed è in questa delicata azione di “punta e tacco” mediatico che si colloca l’inesorabile scivolamento del nostro paese verso una manovra correttiva, forse già in primavera. L’eurocrisi di debito non accenna a risolversi. Perché dovrebbe, visto che i diktat tedeschi stanno dando vita ad una situazione alla “dieci piccoli indiani”, in cui i paesi indebitati capitolano uno dopo l’altro e la Germania, bacchettando e minacciando, finisce con l’assumere sulle proprie spalle un onere crescente.

Tremonti se la prende con la solita “speculazione”, da sempre un’argomentazione jolly per i politici di ogni latitudine, soprattutto quando non si sa più che pesci prendere. Potrebbe tuttavia agevolmente prendersela con Barack Obama e Angela Merkel, entrambi impegnati a proteggere non tanto le proprie banche quanto le lobby che vi stanno dietro. Obama, ad esempio, ha appena nominato come primo consulente economico della Casa Bianca, in sostituzione di Larry Summers, quel Gene Sperling che non solo servì nello stesso ruolo sotto Bill Clinton, ma che fino al 2008 (cioè al culmine della crisi bancaria americana) era consulente di Goldman Sachs, rinverdendo la consolidata tradizione delle porte girevoli tra Wall Street e l’esecutivo statunitense, inossidabile garanzia di cristallizzazione delle crisi, con buon pace di chi (soprattutto nella confusa sinistra italiana) ancora vede in Obama il redentore dei mali del mondo occidentale. Quanto alla Merkel, come attendersi qualche azione risolutiva sulle banche tedesche, che sono ancora impiombate di carta tossica, parte della quale non è neppure ancora emersa?

Premesso che Tremonti non può, per evidenti motivi diplomatici, prendersela con i responsabili politici primi ed ultimi di questo videogame, spostiamo l’analisi al cortile italiano. Siamo davvero alla vigilia delle idi di marzo per Berlusconi per mano dell’asse Lega-Tremonti, la trama che con stucchevole regolarità torna ad affacciarsi ai fasti della dietrologia politica? Dovessimo inferirlo da alcuni segni, quali i messaggi di avvertimento a Tremonti che partono dai giornali amici del premier, scommetteremmo di si. Dovessimo intuirlo dalle profferte a guidare un nuovo esecutivo, provenienti da chi ha una consolidata tradizione nel sostituire i desideri alla realtà e nel sottovalutare la capacità di sopravvivenza di Berlusconi, diremmo di no.

Il rischio molto concreto è un altro: una manovra correttiva per la prossima primavera. Il costo del debito italiano è in aumento, sia per la tendenza più generale al rialzo dei tassi che per l’allargamento del differenziale tra Btp e Bund tedeschi, frutto della lenta ma (ad oggi) inesorabile deriva verso la resa dei conti in Eurolandia. Il paese non cresce, il costo del debito si: la garanzia di sforamenti del deficit. Dopo una manovra complessivamente esigua, si rischia di dover rimettere le mani sui conti pubblici. Il mostro di cui non tanto Tremonti quanto l’Italia dovrebbe preoccuparsi è questo.

Superata la metà della legislatura, siamo ancora all’ultraquindicennale libro dei sogni berlusconiani, nella più desolante assenza di una riflessione politica sulle cause della nostra assenza di crescita. Ma forse il problema non si pone: gli italiani sono grandi risparmiatori, dovesse accadere il peggio potremmo sempre contare su una patrimoniale patriottica, e addossare la colpa di tutto al destino cinico e baro. E comunista.

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