di Mario Seminerio – Il Foglio
Il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, da qualche tempo ha un chiodo fisso, che ospita praticamente in ogni suo intervento pubblico: serve un tetto al debito pubblico. Ma, attenzione: non un tetto di quelli convenzionali, cioè espresso in rapporto al pil, ma qualcosa di ben più draconiano, cioè in valore assoluto.
Impegni solenni
L’ultima reiterazione del concetto è avvenuta durante il Festival dell’Economia di Trento, dove Patuelli ha scolpito:
Sono convinto che il debito pubblico non possa e non debba crescere all’infinito. Bisogna mettersi d’accordo. Serve mettere un tetto al debito pubblico e devono essere le istituzioni italiane a farlo; ma non solo un rapporto tra debito pubblico e pil, perché gli interessi si pagano sulla cifra assoluta, sullo stock. Quindi bisognerà mettere una cifra, un tetto: quando l’Italia lo farà, a quel punto caleranno anche gli interessi e i costi e si innescherà un ciclo di maggiore fiducia. Bisogna fissarlo senza che ce lo impongano altri.
Con l’occasione, il presidente del sindacato dei banchieri ha anche precisato che l’impegno deve essere “solenne”. Quindi, par di capire, non come quello dell’articolo 81 della Costituzione, con l'”equilibrio” di bilancio, sia nella formulazione originaria (che chiedeva che “ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”) sia in quella riveduta nel 2012 per convincere i paesi frugali europei, durante la crisi del nostro debito pubblico, che stavamo facendo sul serio nel controllare entrate e spese. Quelli evidentemente non erano impegni solenni, visto quanto sono stati e sono disattesi.
Patuelli, che è un umanista, dovrebbe sapere che ogni norma che abbia l’ambizione di essere una camicia di forza non può sottrarsi all’ineluttabile legge superiore in base alla quale le norme sono costrutti umani e dagli umani vengono puntualmente derogate, alla bisogna.
Non è chiaro se la proposta di Patuelli si ispiri all’esperienza statunitense di tetto al debito. Tutti sappiamo come vanno le cose quando quel limite, per meccanica conseguenza dell’operare di leggi di spesa ed entrata, viene raggiunto: parte lo psicodramma tribale tra le due fazioni, Repubblicana e Democratica; nei casi estremi si verifica il cosiddetto shutdown della pubblica amministrazione federale, con la temporanea messa in libertà dei dipendenti pubblici e alla fine si trova l’accordo, alzando il tetto.
Lo stop improvviso e prociclico
Pensate a un simile tetto calato in testa a qualsiasi paese, ma soprattutto al nostro: avremmo un vero e proprio “stop improvviso”, che causerebbe qualcosa di molto simile a un blocco dell’economia. Lecito nutrire qualche dubbio circa l’esito virtuoso preconizzato da Patuelli, cioè il calo dei rendimenti di mercato. Più probabile che si verifichi il contrario, con aumento dei dissesti aziendali, calo del gettito e impennata del premio al rischio paese. Un effetto che sarebbe fortemente amplificato in caso di recessione, quando cioè operano i cosiddetti stabilizzatori automatici (sussidi di disoccupazione, calo spontaneo del gettito fiscale), che portano al fisiologico aumento di deficit. Col tetto al debito, durante una recessione servirebbero aumenti di entrate e tagli di spese, con un devastante effetto pro-ciclico.
È peraltro assai verosimile, per usare un understatement, in un tale scenario di “sudden stop“, un aumento dei crediti in sofferenza, che colpirebbe le banche. Che direbbe, in quel caso, il presidente Patuelli? Forse che “la situazione richiede un cambio di rotta, per salvare il paese, facendo debito”, che sarebbe rigorosamente “buono”? Ah, saperlo.
In questi giorni, il presidente Abi è impegnato a sostenere l’ipotesi di liberare le banche dei crediti legati al Superbonus, facendoli comprare da un fondo terzo. Che, secondo il suggerimento di Patuelli medesimo, dovrebbe essere “misto”, pubblico e privato, proprio per evitare che Eurostat ci bacchetti, classificandone le passività come debito pubblico immediatamente aggiuntivo. Una sorta di “soluzione Cdp”, quindi, dove le fondazioni bancarie servono a evitare che le passività siano conteggiate come debito pubblico. Ma, al netto di questo illusionismo, tale veicolo misto poggerebbe in modo decisivo su debito pubblico, che per pura e transeunte convenzione contabile non figurerebbe immediatamente come tale, pur esistendo.
Forse il presidente Patuelli non è così malizioso da teorizzare un simile abile occultamento di debito a protezione del tetto in valore assoluto, ma è difficile sfuggire alla sensazione che l’unico tetto di cui questo paese ha disperato bisogno sia quello sulle proposte economiche stravaganti.
(Pubblicato online e su cartaceo il 28 maggio 2024 – Titolo originale “I non trascurabili problemi della proposta Abi di mettere un tetto al debito pubblico”)
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