La FAO i vertici mondiali e alcune riflessioni

di Andrea Gilli

I media in questi giorni hanno dato molto spazio al vertice FAO che inizia oggi a Roma. Prima il Segretario Generale della FAO ha indetto lo sciopero della fame contro la fame. Poi è intervenuta la moglie di Ahmadinejad per incolpare il capitalismo dei milioni di morti che questa piaga sociale causa ogni anno. Infine è arrivato il Papa a ricordarci che le risorse sarebbero sufficienti, ma la gente continua a morire di fame. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Finora, un dato è certo: a ridurre fame, povertà e denutrizione non è stata la FAO, non è stato l’UNICEF, non è stata la Banca Mondiale, non è stato l’UNDP e non sono state le varie NGO che operano in questo campo. Fame, povertà, denutrizione sono diminuite dove è arrivato lo sviluppo economico. E lo sviluppo economico è arrivato grazie all’arrivo di investimenti diretti esteri, all’apertura dei commerci, e alle privatizzazioni. Questa non è una ricetta one-size-fits-for-all, specialmente a riguardo dell’apertura ai commerci internazionali. Ma rimane una descrizione abbastanza accurata della situazione. L’addendum è che la crescita economica richiede solide istituzioni politiche: dove queste erano presenti (India, Cina, etc.), il risultato è stato positivo. In altre aree (specie l’Africa), fenomeni di corruzione e malversazione hanno dilagato. E’ chiaro che in questo caso c’è poco da fare: lo sviluppo politico non si può esportare. Richiede periodi molto lunghi, e spesso è connesso a periodi di enorme violenza: che ingenuamente l’Occidente cerca di bloccare, rallentando così ulteriormente il suo corso (per chi non ne fosse convinto, si vedano i lavori di Tilly e di McNeil sullo sviluppo europeo).

Dunque, il Segretario della FAO, più che fare uno sciopero della fame contro la fame, farebbe bene a mettersi a dieta, specialmente in termini di salario (che posizione avrà, un D1, D2?, a quanto ammonta il suo salario: 150.000 $ l’anno penny più penny meno, più benefits: zero IVA, nessuna tassa – tabacchi, benzina, liquori – benefit per il lavoro fuori sede, più le tasse universitarie pagate ai figli se questi decidono di studiare all’estero, etc.). Insomma, un bel gruzzolo. Da moltiplicarsi per qualche migliaio di persone che lavora nell’organizzazione.

Perché, quindi, al posto di queste pagliacciate, il Nostro non fa qualcosa di più serio: salari dimezzati alla FAO per i prossimi cinquant’anni. I soldi? Non importa dove andranno, tanto, visti i risultati, verranno spesi meglio. Ancora meglio se si trova una proposta intelligente: si accettano proposte.

Se poi si volesse proprio fare il capolavoro, si potrebbe decidere di spostare la FAO: da Roma in un posto sperduto in Africa. Postulato: nessuno può lavorare nell’organizzazione per più di 5 anni. In questa maniera si favorirebbe l’alfabetizzazione e l’informatizzazione del Paese, della sua popolazione e si sarebbe una spinta allo sviluppo delle sue infrastrutture.

Purtroppo, i dipendenti della FAO, che tanto sono preoccupati della povertà in giro per il mondo, sono un po’ restii ad andare a vivere in mezzo al deserto. Il buongiorno si vede dal mattino, e l’impegno dai sacrifici….

Da questa breve discussione arriviamo alla moglie di Ahmadinejad, che vede nel capitalismo la causa della povertà. Secondo questa logica, più il capitalismo avanza, più dovremmo avere povertà. E infatti…il quadro è esattamente opposto: in Cina e in India, come abbiamo già ricordato, la povertà è diminuita drammaticamente (e così le carestie) grazie allo sviluppo economico portato dallo sviluppo capitalista.

Di livello simile è l’affermazione del Papa, che rileva come le risorse sarebbero sufficienti per sfamare tutti, ma si continui a morire di fame. Vero. Anzi, verissimo. Bisogna però capire un attimo il problema. Un modo è pensare che le risorse ci siano ma siano distribuite iniquamente. Un’altra è pensare che le risorse ci siano, ma siano gestite inefficientemente. Come stanno le cose?

Prendiamo l’Iran e il suo modello economico “giusto” – stando a Lady Ahmadinejad. Bene, il Paese ha una gestione talmente efficiente delle sue risorse che pur essendo un esportatore netto di petrolio è un importatore netto di benzina. In altri termini, non ha abbastanza raffinatori. Perchè? Perchè anzichè investire in queste strutture preferisce spendere qualche centinaio di milioni di dollari ogni anno (se non di più) per finanziare un sistema di sussidi alla benzina che favorisce determinate classi sociali – ovviamente a scapito di altre. Anche l’Iran ha le risorse: è il suo sistema “giusto” che crea piaghe sociali e sotto-sviluppo.

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