L’A400M spicca il primo volo: una valutazione

di Andrea Gilli

Alla fine della scorsa settimana, l’A400M ha spiccato il primo volo di prova. Il mezzo doveva, secondo le stime iniziali, entrare in servizio inizialmente nel 2007 e poi tra il 2009 e il 2010. Come si evince, questo programma è dunque ampiamente in ritardo. La domanda da porsi è se debba essere classificato come un fallimento.

Questa è l’opinione di Oscar Giannino, che celebra dunque la scelta dell’allora ministro della Difesa Antonio Martino, il quale decise di uscire dal programma A400M. In questa maniera, secondo Giannino, abbiamo evitato di rimanere invischiati in un “bidone”. E’ davvero così?

In primo luogo, bisogna partire dal problema: l’Europa non ha sufficienti mezzi per il trasporto strategico. Ciò riguarda sia i mezzi aerei che navali. Il dato è rilevato da tutti gli enti preposti, a tal punto che due progetti distinti (il DCI della NATO e l’ECAP dell’Unione Europea) sono stati creati proprio per colmare (anche) questo vuoto.

Il punto è semplice: durante la Guerra fredda, gli eserciti europei erano attrezzati per fare difesa territoriale: impedire cioè l’invasione sovietica. Con il crollo dell’URSS, è cambiato il paradigma di base dell’uso della forza. Le missioni militari cambiavano drasticamente nella loro natura. In particolare, è diventato sempre più necessario essere in grado di dispiegare le proprie forze in breve tempo e a lunga distanza. Ecco a cosa servono i mezzi di trasporto strategico.

L’Europa aveva dunque due opzioni. La prima era costruirsi autonomamente queste capacità. La seconda era acquistarla dagli Stati Uniti. Washington ha sempre sposato la seconda opzione. L’Europa, Inghilterra inclusa, la seconda. La ragione è semplice: quando si tratta di sviluppo di sistemi d’arma, i Paesi vogliono essere indipendenti. Dove per indipendenza intendiamo dire che un Paese non vuole trovarsi nella situazione in cui un altro Paese è in grado di ostruire le sue attività militari. Washington, che ha sempre guardato con una certa preoccupazione alla volontà di rendere l’Europa più autonoma politicamente e militarmente, non per coincidenza sposava la prima posizione.

Ovviamente alcuni distinguo vanno fatti. La produzione di armi ha enormi implicazioni industriali, economiche, e politiche (dalle lobby ai sindacati, etc.). In secondo luogo, vista la crescita esponenziale nei costi dei sistemi d’arma, gli Stati riescono sempre meno a sviluppare autonomamente i loro programmi. Ciò spiega il ricorso alle cooperazioni.

In ogni caso, l’Europa aveva una carenza, e decise di colmarla: era il programma A400M (che gli americani della RAND hanno valutato come l’opzione migliore per colmare i diversi gap dei Paesi europei nel trasporto aereo strategico).

Fatta questa introduzione storica, bisogna risolvere due dubbi. Il primo è se l’A400M sia comunque un “bidone”. Il secondo se l’Italia abbia fatto bene ad uscirvi. Oscar Giannino sposa entrambe le affermazioni. La mia opinione è che l’A400M non sia un bidone, ma che l’Italia abbia fatto bene a non farvi parte..

Giannino valuta l’A400M come un fallimento perché sarebbe andato fuori tempo e fuori costo. Chiaramente un programma militare che non rispetta i tempi previsti e i suoi budget pone dei problemi. Il punto è che nella storia dell’umanità di programmi militari che hanno rispettato i loro tempi e i loro costi non ce ne sono molti. La ragione è semplice: le aziende hanno un incentivo a sottostimare questi due valori in sede di firma del contratto. Senza contare che, spesso, la complessità tecnica e tecnologica costringe ad innumerevoli ritardi e aumenti dei costi. Nel suo articolo, Giannino cita altri due programmi: l’Eurofighter e il JSF. Entrambi sono andati sia fuori tempo che fuori costo. Anche questi dei bidoni?

Rimane comunque la questione se l’Italia abbia fatto bene ad uscire dal programma. La mia posizione è che Martino abbia effettivamente fatto una scelta corretta, ma non per i motivi identificati da Giannino. Martino, infatti, nel 2001 non poteva sapere se e come l’A400M sarebbe andato. Non poteva immaginare che ci sarebbero stati dei problemi, né identificarli in anticipo. Martino fece un altro calcolo, che però rimane corretto.

1) in primo luogo, l’A400M si dava in servizio nel 2007/10, cioè oggi. E la situazione delle nostre forze armate non era tale da richiedere un tale acquisto per quel periodo. Le nostre forze armate erano già dotate di un adeguato mix di C27J prodotti da Alenia e di C130 Hercules prodotti dalla Lockheed Martin. Seppur di dimensioni minori, erano comunque recenti (specie i C27J), e dunque non vi era l’impellenza di sostituirli. Dunque quell’acquisto, sebbene importante per le capacità europee, era in contraddizione con le nostre necessità operative. La stessa cosa non si può dire per i francesi e i tedeschi, che dovevano sostituire i loro (vecchissimi) Transall C-160, e gli inglesi (con i loro C17 Globmaster).

2) la nostra situazione di bilancio non consentiva molta fantasia. L’11 settembre e ciò che venne dopo non fece altro che peggiorare la situazione.

3) infine, l’accordo industriale dell’A400M non era molto vantaggioso per l’Italia, sia in termini di controllo nel consorzio che di work-sharing.

Infine, è possibile che gli Stati Uniti abbiano fatto una certa pressione, ma non darei questa come una causa fondamentale: resta il fatto che la Guardia Costiera americana ha deciso di comprare i C27J prodotti da Alenia. Ed è ovvio che gli Stati Uniti sono certamente in grado di produrre da soli un tale prodotto. Una scelta differente si spiega solo con motivazioni politiche: che con l’economia non hanno nulla a che fare, ma che mirano solo a mantenere l’egemonia americana in materia di difesa.

A questo punto, può comunque essere utile capire le ragioni degli aumenti dei costi e dei tempi dell’A400M.

In primo luogo, si era pensato di poter progettare, disegnare, costruire e consegnare un aereo totalmente nuovo in soli 7/8 anni. Era chiaramente una cosa irrealistica, visto che i tempi per un velivolo simile sono almeno pari a 12/15 anni – specie se non si hanno certe esperienze.

In secondo luogo, Airbus ha avuto dei problemi su alcuni dei suoi programmi civili. A quanto pare, l’azienda avrebbe tolto personale dall’A400M per metterli sugli altri programmi (civile), dove c’erano più pressanti necessità.

Infine, l’A400M era, come detto, un prototipo che nessuno, in Europa, sapeva costruire. Dunque richiedeva competenze e capacità non così facili da acquisire e mettere in pratica. Alcuni errori di management possono avere ulteriormente complicato la situazione.

In definitiva, l’A400M è un programma fondamentale per l’autonomia strategica e militare europea. Il fatto che il primo test sia stato un successo è un dato che non può che essere accolto con favore. Finora, l’A400M non ha fatto molto peggio di altri programmi. Il suo ritardo è ovviamente fonte di preoccupazione, ma certo non lo si può dipingere come un “bidone”. In questo contesto, resta il fatto che la scelta italiana di non farvi parte fu, fondamentalmente, corretta.

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