di Andrea Gilli
Nelle ultime settimane, alcuni episodi di cronaca sociale (se il termine esiste, ma non saprei altrimenti come identificare questi fenomeni) hanno avuto una certa risonanza in Italia. Prima Pier Luigi Celli, direttore della LUISS-Guido Carli, ha scritto una lettera al figlio, suggerendogli la via estera per raggiungere i suoi obiettivi. Poi Vincenzo Novari, amministratore delegato di 3 Italia, ha scritto al figlio: il consiglio non era di andare via dall’Italia, ma di impegnarsi al massimo e di agire sempre con responsabilità e onestà. Nel frattempo, il telegiornale Studio Aperto, ha dimostrato come l’esame di Stato per diventare avvocato, tenutosi di recente a Roma, fosse un imbroglio generalizzato. Quasi simultaneamente, ad un concorso pubblico nella città di Orbetello, nessun candidato è stato selezionato per via dell’imbarazzante ignoranza che tutti gli ammessi hanno mostrato nelle prove scritte. In questo vortice di notizie, si aggiunge la proposta avanzata a fine novembre dal governo di ridurre l’accesso alle professioni legali.
In tutti questi sviluppi, mi sembra di rilevare un filo conduttore. Il filo conduttore è dato dal binomio merito-selezione. E su questo si reggono le sorti dell’Italia.
Celli, nella sua lettera, invitava il figlio a fare le valigie e andare all’estero: solo fuori dall’Italia, secondo il d.g. della LUISS, ci sarebbero le opportunità per realizzarsi. E’ così? In parte è vero, l’esperienza di chi scrive lo dimostra. Ma la domanda da porsi è, come mai all’estero ci sono più opportunità? Celli, nella sua lettera, afferma che le maggiori opportunità che la soluzione estera offrirebbe sono da rintracciarsi nel fatto che, fuori dall’Italia, valori come lealtà, merito, onestà, e poi anche solidarietà e giustizia, sarebbero ancora presi in considerazione.
A mio modo di vedere, all’estero questi valori hanno ancora una certa risonanza non perché le persone comuni li hanno interiorizzati, piuttosto perché le istituzioni sociali, economiche e politiche premiano i comportamenti volti ad enfatizzarli. E ciò lo si deve ad un elemento: la selezione, fuori dall’Italia, avviene sempre di più a monte, non a valle.
Il caso dei due esami che ho citato, e della proposta di legge sulle limitazioni che l’attuale governo vuole porre alla professione legale, offrono motivi di riflessione. In Italia, all’esame di Stato per l’avvocatura ci arrivano in tanti, tantissimi. Molti non sono preparati, ma sanno di poter contare su spalle e aiuti nel futuro. L’esame dunque diventa una farsa. La stragrande maggioranza diventa avvocato, ma chi poi può svolgere la professione è chi ha già un piede nel sistema.
Ciò che voglio dire è che il giovane promettente e preparato, in questa maniera, rischia di essere bruciato. La sua preparazione nulla potrà contro concorrenti che possono contare su amici e parenti ben disposti ad offrirgli un lavoro. Nella stessa direzione vanno il caso del concorso ad Orbetello: fortuna ha voluto che nessun candidato sia stato selezionato. Ma la domanda resta d’obbligo, come hanno fatto certi individui a raggiungere la laurea? La logica è quella di prima, si fanno passare tutti i cavalli, poi la selezione non si baserà su chi arriva prima, ma su chi lo stalliere vuole far passare per primo. E questa è infatti la logica della riforma – forse per fortuna abortita – che voleva penalizzare ulteriormente i giovani avvocati a tutto vantaggio dei baroni della professione (e della loro prole).
In Inghilterra e negli Stati Uniti, Paesi che conosco direttamente, la selezione avviene in maniera diametralmente opposta. Non che elementi oligarchici e classisti non esistano (si pensi ai costi enormi dell’università americana: dai 25.000 ai 50.000 dollari l’anno, solo di tasse universitarie). Ma il sistema anglo-sassone ha un merito: il suo approccio brutale di darwinismo sociale nella selezione.
All’università, gli insegnanti non spiegano a fondo per poi verificare la padronanza di alcune conoscenze di base (come in Italia). Invece, gli insegnanti danno le nozioni basilari, per poi presentare esami difficilissimi, che richiedono ingegno e genialità, e soprattutto che sono imprevedibili. Chi eccelle è quindi davvero un individuo eccezionale. Della solidarietà di cui parla Celli, onestamente, non se ne ha molta traccia (i voti sono dati seguendo la logica della distribuzione normale, quindi poiché in ogni classe non ci possono essere più di un certo numero di A, gli studenti non hanno incentivo ad aiutarsi a vicenda, visto che così rischiano di minacciare la loro performance) – e ciò non è necessariamente un dato positivo.
Il dato, però, è che la selezione avviene alla fonte. Nessuno va avanti per inerzia. Il carico di lavoro è enorme. La maggior parte degli studenti non riuscirà a capire completamente la disciplina o a studiare tutto il materiale. Gli esami si danno una volta sola. I voti sono severi e non permettono sfumature. Chi va più forte degli altri viene premiato. Così si identificano i geni. Per i mediocri non c’è spazio.
Arriviamo dunque alla lettera di Novari al figlio. Novari dà un semplice insegnamento: onestà con se stessi, onestà verso gli altri, e responsabilità. Queste sono le chiavi del successo. Per esperienza personale questi valori, spesso implicano dei risultati inferiori delle aspettative. I furbi ci sono dappertutto, anche all’estero, anche a Londra o a New York – con buona pace di Celli. Questi valori, però, rappresentano l’unica via per raggiungere il successo.
Per riformare l’Italia non è necessario scappare. Basterebbe fare riforme volte a premiare merito, perseveranza e capacità, e soprattutto che selezionino a monte, non a valle. Come l’esempio della riforma dell’avvocatura dimostra, questi non sono i criteri a cui l’attuale Governo ha dato priorità. Non stupisce che Pier Luigi Celli, nella sua lettera, faccia poco riferimento a questi elementi, ma piuttosto si lasci andare al solito piagnisteo che caratterizza, nei tempi, tutte le élite al potere che, intente a godere dei benefici concessi loro da un sistema oligarchico, si dilettano nel criticarne i limiti – senza capire che per riformare quel sistema, sarebbe anche necessaria la loro uscita di scena.
Anche questo caso dimostra le conseguenze nefaste di una selezione che avviene troppo a valle.
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