Delude l’effetto Usa, le borse affondano

di Mario Seminerio – Il Tempo

L’intesa tra Barack Obama ed i Repubblicani, raggiunta nella notte tra domenica e lunedì, consente di evitare lo spettro del default tecnico americano, che avrebbe avuto ampie ricadute negative sul funzionamento dei mercati finanziari e dell’economia reale. Ma i problemi di fondo non sono risolti.

Tecnicamente, l’accordo taglia subito circa 900 miliardi di dollari (su un arco temporale di dieci anni), soprattutto di spese discrezionali. Altri 1500 miliardi dovranno essere tagliati da una commissione bipartisan, che dovrà giungere ad un accordo entro il Ringraziamento. In caso di mancato accordo, scatteranno dei tagli automatici (quasi lineari, come diremmo noi italiani), che dovrebbero tuttavia preservare i pazienti del Medicare, colpendo i fornitori di prestazioni.

Sul piano delle ricadute economiche l’azione è quindi concentrata sulle spese discrezionali, pur preservando in qualche modo gli strati sociali più economicamente disagiati, e rischia di essere caratterizzata da un pesante effetto moltiplicativo negativo. Nel secondo semestre potremmo non avere alcun rimbalzo della congiuntura americana, fermo restando che da qualche tempo stiamo già assistendo ad un ridimensionamento delle stime di crescita, come confermato dalla stima del Pil americano del secondo trimestre e dalle revisioni apportate ai periodi precedenti.

Resta poi intatto il rischio di un declassamento del debito statunitense, soprattutto da parte di Standard & Poor’s, che ha finora recitato il ruolo di poliziotto cattivo tra le agenzie di rating, che nei giorni scorsi aveva lasciato intendere di voler vedere un taglio di 4000 miliardi in dieci anni, e che ne otterrà molto meno. E’ possibile che ad un certo punto gli Stati Uniti si trovino con un rating diviso, cioè con doppia A per S&P e tripla A per Moody’s e Fitch, il che eviterebbe eccessivi danni ai mercati finanziari.

Dovremo quindi attendere gli esiti della supercommissione bipartisan sulle misure successive, entro il 23 novembre; molto dipenderà anche dalla specifica composizione di tale organismo, nel quale le diverse anime di Democratici e Repubblicani cercheranno di essere comunque rappresentate. A Obama resta l’arma della scadenza dei tagli d’imposta di Bush, rinnovati lo scorso anno su pressione dei Repubblicani. Visto l’atteggiamento ostinatamente centrista del presidente (che ne ha caratterizzato l’azione dall’inizio del suo mandato), è lecito qualche dubbio circa l’effettivo utilizzo di tale leva negoziale, che necessiterebbe comunque di separare i destini dei contribuenti in funzione della soglia critica dei 250.000 dollari di reddito annuo.

Quello che appare certo è che la composizione della manovra la designa come una delle maggiori strette fiscali degli ultimi decenni, e potrebbe quindi deragliare quel poco di crescita vista finora. Gli Stati Uniti restano un paese che sta affrontando una difficile riduzione del proprio grado di indebitamento, ed in questi casi l’aumento del tasso di risparmio privato deve trovare compensazione in un aumento delle esportazioni nette o nel mantenimento di un deficit da parte del settore pubblico. Poiché l’andamento della bilancia commerciale americana non è tale da suggerire un boom dell’export, la riduzione del deficit federale avrà effetti negativi sui saldi finanziari del settore privato, dove i consumatori sono già in difficoltà a causa della crisi del mercato del lavoro, con una disoccupazione ancora molto elevata e di difficile riassorbimento. Questa è l’essenza del periodo che la congiuntura sta vivendo, nei paesi occidentali più indebitati.

Ieri i mercati hanno metabolizzato la notizia prendendo atto che sempre di stretta fiscale si tratta, e quindi vi è assai poco da festeggiare, a parte lo scampato pericolo di default. L’indice manifatturiero ISM di luglio si è ormai portato al livello che segna l’arresto dell’espansione. Le borse piegano al ribasso, e l’Europa segue al traino, visto che quando l’America ha il raffreddore il Vecchio Continente, già molto debilitato dalla crisi di debito, rischia la polmonite.

Il 2012 è anno di elezioni, in America. Un eventuale deterioramento congiunturale rischia di riflettersi negativamente sulle speranze di rielezione di Obama, che potrebbe aver troppo legato il proprio destino ad una manovra che appare piegata alla pressione dei Repubblicani e dei Tea Parties. Ci aspetta un anno interessante ma soprattutto difficile, purtroppo.

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