Dialogo tra Iran e USA

di Andrea Gilli

Dopo mesi di estenuanti tira e molla, di repentine avanzate e altrettanti rapidi dietrofront, gli Stati Uniti hanno per la prima volta ammesso pubblicamente di voler trattare con l’Iran e la Siria per risolvere la questione irachena (e magari, in futuro, anche quella iraniana).

La notizia e’, verosimilmente, di portata devastante. Su Epistemes, nei mesi scorsi abbiamo gia’ pubblicato diverse analisi nelle quali suggerivamo questa opzione come la piu’ realistica. Di seguito rimandiamo a quelle analisi che, a mesi di distanza, si rivelano ancora attuali e calzanti.

A proposito della mossa del Segretario di Stato Americano Condoleezza Rice valgono comunque alcune brevi considerazioni.

Innanzitutto, si conferma sempre piu’ la svolta pragmatica nella politica estera americana, accelerata drammaticamente nelle ultime settimane. Basti pensare che solo a inizio dicembre il rapporto Baker veniva bollato dalla stampa piu’ oltranzista come “gia’ morto prima di nascere”. Se morto era, allora abbiamo di fronte un caso di resurrezione. E a differenza del precedente ben piu’ celebre, non e’ neppure necessario fondare una nuova religione, visto che essa c’e’ gia’ – si chiama Realpolitik.

In secondo luogo, la svolta americana conferma quanto gli osservatori piu’ attenti dicono da tempo: ovvero che il solo uso della forza non basta. Il caos iracheno non si ferma e non si fermera’ solo inviando piu’ truppe. Pensare di poter “distruggere tutti i terroristi” e’ piu’ ridicolo che banale, perche’ i terroristi non sono uno stock finito di persone, un X dato, che basta semplicemente colpire per distruggerlo. I terroristi sono potenzialmente infiniti: sono tutti coloro che decidono di entrare nelle file del terrorismo. Per sradicare il terrorismo e’ dunque necessario agire perche’ la scelta terrorista del singolo appaia sconveniente, socialmente deprecabile, non considerabile. Questo obbiettivo non viene certamente raggiunto dispiegando piu’ truppe a Baghdad.

Piuttosto che distruggerli (obiettivo appunto impossibile), e’ necessario fermarli. E se essi sono armati dall’estero, cio’ che bisogna fare e’ lavorare sugli incentivi, perche’ chi li arma interrompa questa sua attivita’. Suggerire di ribaltare i regimi che sostengono il terrorismo come soluzione finale alla nostra insicurezza e’ invece piu’ folle che ridicolo – semplicemente perche’ cosi’ facendo non si riconoscono le ragioni degli avversari. Si traccia autoritativamente una linea tra il Bene e il Male e per se’ si riserva la posizione del Bene. Pertanto, ribaltare il regime di Tehran e’ Bene, ma se Tehran resiste a queste pressioni (fomentando il terrorismo in Iraq) allora Tehran non e’ solo piu’ Male ma e’ pure Peggio. Si vorrebbe in altre parole che non solo l’avversario si adegui alle nostre richieste, ma che pure non opponga resistenza! Senza parlare poi del fatto che, come mostra chiaramente l’Iraq, non e’ ribaltando regimi dispotici a destra e a manca che si risolvono i problemi di instabilita’ che caratterizzano il Medio Oriente.

Infine, il cambiamento di rotta accennato da Washington non deve far cadere nessuno in facili entusiasmi. La politica internazionale e’ una materia difficile e complessa. Come ricorda Hans J. Morgenthau, cioe’ che distingue il ciarlatano dallo studioso serio e’ proprio la differente concezione del sistema internazionale: per il primo e’ estremamente semplice, per il secondo terribilmente complesso. Pertanto, anche la giusta strategia (sempre che ne sia mai esistita una) puo’ non portare ai risultati sperati se realizzata in maniera o nei tempi non adeguati. Il teatro iracheno diventa sempre piu’ difficile e costoso e la questione iraniana sempre piu’ bollente. Gli Americani sono sempre meno disposti a spendere soldi e vite per un Paese del quale non sanno nulla, e soprattutto nel Partito Repubblicano ci si inizia a rendere conto che la questione Iraq non e’ esattamente un asset per le prossime elezioni presidenziali del 2008.

Nelle prossime settimane, verosimilmente, gli Stati Uniti inizieranno a dialogare con Siria e Iran per la pacificazione dell’Iraq. Forse troveranno una soluzione. Forse no. Anche la migliore delle soluzioni, comunque, non portera’ alla pace kantiana che sognano i neo-wilsoniani americani. Al massimo si otterra’ un po’ di tregua. Un breve frammento di pace tra periodi di guerra. E allora si potra’ essere soddisfatti: perche’ la pace e’ sempre stata proprio questo, un breve periodo di tregua tra lunghi periodi di combattimento. Non a caso anche un idealista come Platone, osservando il mondo, non pote’ far altro che notare realisticamente come “solo i morti hanno visto la fine della Guerra”.

* * *

Sulla questione iraniana, Epistemes ha pubblicato nei mesi scorsi le seguenti analisi:

Andrea Gilli, L’Iraqi Study Group e la politica estera americana – 8 dicembre 2006.

Andrea Gilli e Mauro Gilli, Perche’ bisogna trattare con l’Iran – 17 novembre 2006.

Andrea Gilli e Daniele G. Sfregola, L’India, gli USA e il fattore Tehran – 22 settembre 2006.


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