La crisi egiziana. Malthus sul Nilo

di Mario Seminerio

A quanti pensano che le sollevazioni nei paesi della sponda sud del Mediterraneo abbiano soprattutto un matrice economica chiamata fame, segnaliamo questo esaustivo articolo. Per chi ha fretta, provvediamo ad una sintesi dei concetti.

L’Egitto è diventato sempre più utilizzatore domestico di petrolio, mentre la sua produzione è in calo da qualche anno. Quest’anno il paese è previsto diventare importatore netto di petrolio, anche se alcuni dicono che questa condizione potrebbe essere stata raggiunta già nel 2010. Il tutto in un contesto globale in cui l’export di greggio è in contrazione da qualche tempo.

Le esportazioni petrolifere forniscono le risorse per pagare i sussidi alla popolazione. Quindi, meno export, meno fondi per i sussidi. L’aumento dell’export di gas naturale, in atto da circa un lustro, trova ostacoli di natura nazionalistica, per le richieste popolari di non vendere a Israele. Se possiamo inserire una piccola nota a margine, i tempi in cui gli egiziani dovranno decidere se riempirsi la pancia di cibo anziché la testa di nazionalismo sono arrivati;

Date le premesse, il governo egiziano dispone quindi di risorse calanti per sussidiare i consumi primari della popolazione. Il paese ha inoltre un elevato rapporto debito-Pil (pari a oltre l’80 per cento nel 201o, secondo il World Fact Book della Cia), ed è quindi in crisi fiscale conclamata. Inoltre, le industrie nazionali sono in affanno: non solo quella estrattiva, come detto, ma anche quella della raffinazione. In calo anche i proventi da transito attraverso il Canale di Suez, a causa della contrazione globale dell’export petrolifero, il che aggrava la penuria di risorse fiscali.

Il paese ha una antica tradizione di relativo egualitarismo, con un coefficiente di Gini comparabile a quello del Regno Unito ed inferiore a quello americano, e le recenti liberalizzazioni promosse dal governo possono aver aumentato la diseguaglianza di reddito, causando disagio. Ovviamente, occorre distinguere tra diseguaglianza relativa ed assoluta.

Il problema vero è che la popolazione egiziana è in continuo boom demografico, con un tasso di crescita stratosferico e pari a circa il 2 per cento annuo. A ciò si somma il fatto che la maggior parte vive nella striscia fertile sulle rive del Nilo. Al crescere della popolazione, aumenta la quota dei terreni da destinare ad abitazione ed attività commerciali, e di conseguenza cala la quota destinabile ad utilizzo agricolo. Ciò accresce la dipendenza alimentare del paese, che già oggi importa il 40 per cento delle forniture alimentari, ed il 60 per cento di grano. Nel frattempo, a causa di avverse condizioni meteo, il raccolto di grano quest’anno è in flessione. Tutto congiura per spingere al rialzo i prezzi degli alimentari sui mercati globali, incluso il costo dell’energia, che entra in quello delle derrate attraverso i costi di produzione, stoccaggio e trasporto.

Considerato che i cittadini dei paesi arabi spendono in alimentari circa il 50 per cento del reddito, e che i salari non riescono a tenere il passo con l’inflazione (al 12,7 per cento ufficiale), non meraviglia quindi la richiesta di crescenti sussidi alimentari né lo scoppio di moti di piazza nel momento dell’annuncio governativo (poi rimangiato) di tagliare le sovvenzioni su alimentari ed energia.

Il tutto col massimo rispetto dell’anelito alla libertà dei popoli, s’intende. Ma forse non è propriamente un problema di accesso internet (che mai come in questo caso rappresenta un mezzo, e non un messaggio) e di agende neocon che arrivano a maturazione. Primum vivere, deinde philosophari.

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