I cugini del Sud tra default e “mano de Dios”

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Poche cose possono stimolare la fantasia di torme di sociologi da dopolavoro come una finale Mondiale tra un paese del ricco Nord del pianeta, profondamente cartesiano ed incline al moralismo, ed uno del Sud del mondo, altrettanto profondamente sgarrupato, da sempre incline a quella forma di autoindulgenza che fatalmente produce teorie del complotto e nemici esterni in quantità industriale.

Questo logoro stereotipo, che tanto piace a noi italiani, che in maggioranza tendiamo (soprattutto in questa deprimente congiuntura sociale ed economica) a simpatizzare con i deboli e cercare nemici da odiare, avrà la sua apoteosi domenica, con la finale tra Germania ed Argentina. E sarà un grande classico, anche della sociologia da dopolavoro, quanto e più della scioccante gara tra tedeschi e brasiliani, che ha già indotto numerosi commentatori nostrani a parlare di “tragedia di un paese e di un popolo”, peraltro non riferendosi ai fondamentali economici brasiliani che, pur prossimi alla recessione, sono certamente ben più solidi del disastro permanente argentino.

Che accadrà, quindi, in caso di vittoria dell’albiceleste sui robot senz’anima, per usare lo stile letterario prevalente che leggerete sui nostri giornali? Al netto del fremito patriottico e del lavacro di retorica sul riscatto degli Ultimi, per gli argentini assai poco. Il loro governo negozierà alla fine un accordo con gli “avvoltoi” che detengono il suo debito non ristrutturato, perché l’alternativa del default su vasta scala sarebbe disastrosa, ora che il paese sta faticosamente cercando di normalizzare la propria politica economica per attrarre gli investimenti esteri di cui ha disperato bisogno. Per proseguire sulla strada della normalizzazione, l’Argentina dovrà inoltre lasciare andare ulteriormente il cambio del peso, allineandolo a quella realtà “imperialista” che da sempre è l’aguzzina dei piccoli paradisi popolari. Ciò innalzerà l’inflazione, che trarrà alimento anche dalla necessità di ridurre l’enorme deficit pubblico con mezzi meno fantasiosi ed autolesionistici della stampa di moneta, ad esempio con tagli ai sussidi pubblici su alimentari, carburanti e combustibili. L’area di povertà, ben presente ma mascherata da statistiche ufficiali addomesticate, tornerà prepotente ad assumere visibilità.

Nel periodo di transizione, in definitiva, si soffrirà non poco. Come in ogni transizione, del resto. Questo offrirà il destro a quanti sostengono da sempre che il liberismo produce sofferenze, anche quando di liberismo non vi è traccia. Non sappiamo se l’eventuale vittoria mondiale argentina porterà con sé anche un aumento della fiducia dei consumatori e delle vendite al dettaglio. Ci stupiremmo se accadesse, a dire il vero. Quello di cui non ci stupiremo sarà la ricerca affannosa di significati moralmente risarcitori di una eventuale vittoria, soprattutto da parte di una sinistra altermondialista engagée ed onirica che nel nostro paese ha da sempre una robusta guarnigione. E se poi la vittoria arrivasse nuovamente con una “mano de Dios” o qualche altra mossa segreta fuori dai regolamenti, ancora meglio: sarebbe, ne siamo certi, il trionfo della “fantasia latina” sul “freddo ed arido calcolo” del Nord. Dopo di che, la traversata del deserto, per i cittadini argentini, sarebbe solo all’inizio.

Forse anche per questo ci sentiamo di augurare loro almeno quest’ultimo diversivo. Certamente più sano e nobile di quelli che da anni sono stati eretti per occultare la realtà.

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