di Mauro Gilli
Un anno e mezzo fa, in un post su Epistemes richiamavo l’attenzione sulla possibilità che la situazione economica e politica italiana potesse promuovere forme di violenza più o meno organizzata, motivate dal senso di frustrazione e avulsione della popolazione. Gli avvenimenti di ieri di Bergamo rendono quanto scritto allora particolarmente attuale.
Scrivevo il 28 ottobre 2010:
All’incapacità di avviare riforme strutturali incisive – che verosimilmente potrebbero permettere al nostro paese di ricominciare a crescere – si sommano due mancati cambiamenti: l’apertura di spazi economici e l’apertura di spazi politici.
L’Italia rimane un paese dove l’ascensore sociale è fermo. I figli dei notai intraprendono la carriera dei notai. Lo stesso vale per commercialisti, avvocati, farmacisti, etc…
Allo stesso tempo, l’Italia rimane un paese dove anche gli spazi politici sono pressoché chiusi. La classe politica è autoreferenziale – come gli scandali dell’ultimo anno ci hanno tristemente ricordato [mi riferivo allora agli scandali del 2010, ma questa frase rimane tristemente attuale]. Esiste una sorta di “mutual understanding” della classe politica. Salvo rari casi, i baroni del parlamento mantengono la loro posizione in virtù di non si sa quale merito. E anche i recenti (e auspicabili) tentativi di introdurre forme di democrazia diretta, sono serviti a poco. La baronia è sempre presente. Il risultato è un senso di strapotere tra i politici che spesso degenera in casi di corruzione e clientelismo; e un senso di ineluttabile impotenza tra i cittadini.
Sulla base di queste considerazioni, esprimevo il timore che il disagio sociale ed economico unito alla chiusura della classe politica potessero portare a forme di violenza:
La letteratura sul terrorismo e sugli atti eversivi non è univoca, ma non serve essere dei sociologi affermati per capire che – proprio come accaduto in Francia cinque anni fa e in Grecia un anno fa – la frustrazione può portare alla violenza.
Se questa frustrazione è dovuta all’incapacità di apportare cambiamenti significativi alla propria vita in ambito sociale o economico, e all’impossibilità di avere le proprie istanze ascoltate per via della sordità della classe politica, proprio quando dentro il palazzo i privilegi non si contano, non è inimmaginabile pensare che qualcuno possa cercare di farsi giustizia da solo.
A proposito, sottolineavo come il sostegno popolare verso episodi quali l’aggressione all’ex Presidente del Consiglio Berlusconi, o al portavoce del PDL Capezzone fosse indicativo di un clima potenzialmente pericoloso. In altre parole, se tanti nostri connazionali esprimono solidarietà verso gli autori di atti di violenza e gesti estremi, ciò deve far pensare che esista un “pool” potenzialmente largo di possibili imitatori e seguaci. Per quanto non rappresentativi della popolazione italiana, i commenti sugli avvenimenti di ieri a Bergamo danno uno spaccato certamente non incoraggiante.
Concludevo, notando come fosse urgente cambiare rotta e riformare il nostro paese:
Dunque, bisogna aprire i partiti a vere e proprie forme di democrazia partecipativa; smettere di assegnare incarichi governativi a livello locale, regionale o nazionale a personaggi con il passato sospetto; e soprattutto liberalizzare, liberalizzare, liberalizzare l’economia italiana.
Quella conclusione era valida allora come è valida ancora oggi. E’ passato un anno e mezzo. Purtroppo, troppo poco è stato fatto. La crisi del nostro paese si è esacerbata, i dati economici sono peggiorati, e la classe politica non ha smesso di mostrare la sua totale indifferenza verso i bisogni del paese, come gli ultimi scandali, da quello che ha coinvolto la Margherita a quello che ha coinvolto la Lega purtroppo, ci ricordano.
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