Aggressione a Capezzone: il rischio del ritorno della violenza politica in Italia

di Mauro Gilli

La situazione in cui versa il nostro paese è drammatica. Da un punto di vista economico, sociale e soprattutto politico, risulta assai difficile trovare dati che non siano scoraggianti. Sia ben chiaro, questa non è una critica ad una forza politica piuttosto che ad un’altra. Negli ultimi sedici anni, il nostro Paese è stato Governato per circa otto anni dalle forze di centro destra e per circa otto anni dalle forze di centro sinistra. Entrambi sono responsabili del declino verso il quale l’Italia sta inesorabilmente avviandosi. Il problema più grave, che rischia di aggiungersi a quelli che già affliggono il nostro paese, è il ritorno della violenza politica, come gli avvenimenti recenti sembrano dimostrare (aggressione al premier Berlusconi un anno fa; alle sedi della Cisl, e anche, più recentemente, al portavoce del PDL Capezzone).

All’incapacità di avviare riforme strutturali incisive – che verosimilmente potrebbero permettere al nostro paese di ricominciare a crescere – si sommano due mancati cambiamenti: l’apertura di spazi economici e l’apertura di spazi politici.

L’Italia rimane un paese dove l’ascensore sociale è fermo. I figli dei notai intraprendono la carriera dei notai. Lo stesso vale per commercialisti, avvocati, farmacisti, etc. Ovviamente, tutte professioni prudentemente regolate (qualche tempo fa, l’attuale Governo ebbe il coraggio di innalzare ulteriormente le barriere all’ingresso per i novizi in campo legale). Il merito non solo non è premiato, è anche avversato. E finisce così per essere un termine sconosciuto ai più. In Italia contano le conoscenze, le parentele e le amicizie.

Allo stesso tempo, l’Italia rimane un paese dove anche gli spazi politici sono pressoché chiusi. La classe politica è autoreferenziale – come gli scandali dell’ultimo anno ci hanno tristemente ricordato, e tutti quelli precedenti (inclusi quelli che hanno coinvolto esponenti di primo piano del secondo Governo Prodi) avevano già mostrato tempo addietro. Esiste una sorta di “mutual understanding” della classe politica. Salvo rari casi, i baroni del parlamento mantengono la loro posizione in virtù di non si sa quale merito. E anche i recenti (e auspicabili) tentativi di introdurre forme di democrazia diretta, sono serviti a poco. La baronia è sempre presente. Il risultato è un senso di strapotere tra i politici che spesso degenera in casi di corruzione e clientelismo; e un senso di ineluttabile impotenza tra i cittadini.

Questi sono i fatti che tutti noi conosciamo. Quali sono gli effetti collaterali di questa situazione? Il mio timore è che la stagnazione politica ed economica, e quindi anche sociale del paese possa presto dare vita a nuove forme di violenza politica. Non parlo del lancio di statuette (già di per sé eventi disarmanti per un paese civile), ma di qualcosa di molto più serio. La letteratura sul terrorismo e sugli atti eversivi non è univoca, ma non serve essere dei sociologi affermati per capire che – proprio come accaduto in Francia cinque anni fa in Grecia un anno fa – la frustrazione può portare alla violenza.

Se questa frustrazione è dovuta all’incapacità di apportare cambiamenti significativi alla propria vita in ambito sociale o economico, e all’impossibilità di avere le proprie istanze ascoltate per via della sordità della classe politica, proprio quando dentro il palazzo i privilegi non si contano, non è inimmaginabile pensare che qualcuno possa cercare di farsi giustizia da solo. Questa mia riflessione non si basa su una generalizzazione di casi isolati come appunto le aggressioni a Berlusconi e Capezzone, ma sul fatto che queste ultime abbiano ricevuto supporto più o meno esplicito da una parte, seppur limitata, della società civile.

Spero di avere torto, perché se oltre alla crisi economica, politica e sociale si aggiungesse il ritorno della violenza politica, per il nostro paese la situazione diventerebbe davvero difficile da gestire. Cosa fare, dunque? Non ci sono ricette semplici. Come aveva spiegato Ralf Dahrendorf molti anni fa, la violenza sociale e politica viene significativamente ridotta quando la società non è divisa in gruppi separati, ben definiti e immutabili. Dunque, bisogna aprire i partiti a vere e proprie forme di democrazia partecipativa; smettere di assegnare incarichi governativi a livello locale, regionale o nazionale a personaggi con il passato sospetto; e soprattutto liberalizzare, liberalizzare, liberalizzare l’economia italiana. Non giustifico la violenza, in nessuna delle sue forme forme. Gli eventi recenti hanno però una spiegazione, che piaccia oppure no.

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3 risposte a “Aggressione a Capezzone: il rischio del ritorno della violenza politica in Italia”

  1. Avatar Kerub
    Kerub

    d’accordo sulla sostanziale comune responsabilità di centrodestra e centrosinistra nella gestione del paese negli ultimi 16 anni.

    farei però solo una differenza: il centrodestra non voleva l’entrata nell’Euro e la conseguente disciplina di bilancio.

    a parte le scuse e i distinguo bisogna riconoscere come larghe porzioni del blocco sociale leghista e FI (ora PDL) fossero legate alla rendita dei titoli di stato e alle esportazioni basate su svalutazione.

    visto che l’adesione all’Euro è forse l’unica vera riforma fatta in italia in 50 anni ci tenevo a sottolinearlo.

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  2. Avatar Fulvio
    Fulvio

    Ennesimo articolo denso di banalità e luoghi comuni. Complimenti al documentatissimo giornalista.

    “L’Italia rimane un paese dove l’ascensore sociale è fermo. I figli dei notai intraprendono la carriera dei notai. Lo stesso vale per commercialisti, avvocati, farmacisti, etc.”

    Io conosco migliaia di gente che lavora in banca il cui figlio ne prende il posto, benzinai, panettieri, elettricisti, idraulici, meccanici, artigiani, imprenditori ecc. che sono figli di genitori che facevano lo stesso lavoro. Giornalisti, ebbene si, pure giornalisti…gli esempi si sprecano, come ben saprà il Nostro.

    E basta con questa stupidaggine dell’ascensore sociale bloccato! E’ assolutamente normale che un figlio segua le orme del padre, soprattutto potendone sfruttare conoscenze ed esperienza. Sa cos’è il know how? Se mio padre ha tali conoscenze è ovvio che io, a differenza di chi non può usufruirne, me ne avvantaggi; ma questo è una conseguenza del tutto normale, altro che evocare ascensori.

    Io sono un professionista, figlio di umili operai. Mi sono fatto un mazzo così per raggiungere la mia posizione ed ora leggo queste stupidaggini.

    Veramente non se ne può più. La prego, se vuole fare bene il suo lavoro, concentri le sue attenzioni sui veri problemi del paese e non su queste fesserie.
    Altro che ascensori!!!

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  3. Avatar Mauro Gilli
    Mauro Gilli

    Caro Fulvio,
    grazie per il suo commento. Capisco che a volte la logica possa essere ostica, ma con un minimo di sforzo in più lei si sarebbe potuto evitare una magra figura.

    Mi fa piacere sapere che lei conosca “migliaia di gente [sic] che lavora in banca il cui figlio ne prende il posto [sic sic], benzinai, panettieri, elettricisti, idraulici, meccanici, artigiani, imprenditori ecc. che sono figli di genitori che facevano lo stesso lavoro [ri-sic].”, ma non riesco proprio a capire cosa c’entri tutto ciò con la discussione qui sopra. Forse potrà spiegarmelo meglio, senza tanti errori di grammatica, al secondo tentativo.

    Per quanto riguarda il riferimento ai giornalisti, se voleva essere un colpo basso la informo che non è riuscito: non sono un giornalista, nessuno della mia famiglia fa o ha fatto questo mestiere e – non meno importante – non vivo neanche in Italia, come avrebbe potuto constatare lei stesso se avesse guardato il sito, invece di farsi sopraffare dalla voglia di inscenare una polemica inutile (dico questo giusto per darle la dimensione di quanto abbia preso male la mira).

    Inoltre, il fatto che lei parli di idraulici, falegnami, panettieri, etc. quando nel mio articolo parlavo di farmacisti, commercialisti, avvocati e notai, la dice lunga su quanto lei abbia travisato il senso dell’articolo. Non altro perchè non vi sono barriere legali all’ingresso per le professioni che lei menziona, se non quelle minime per poter aprire una partita iva. Relativamente al trasferimento di “know how”, le professioni da me citate richiedono invece conoscenze tecniche che si apprendono all’università. Quindi il suo ragionamento non ha proprio senso.

    Infine, lei scrive: “Io sono un professionista, figlio di umili operai. Mi sono fatto un mazzo così per raggiungere la mia posizione ed ora leggo queste stupidaggini.” Non voglio sembrare intruisivo nel ricordarle che non è obbligatorio leggere le mie stupidaggini. Per il futuro, se proprio non potrà farne a meno e vorrà tornare a commentare, le consiglio però, oltre agli errori di grammatica, di eliminare anche i “non-sequitur”.

    MG

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