La Turchia dentro al progetto South Stream

di Andrea Gilli

L’accordo siglato la scorsa settimana da Italia, Russia e Turchia che vede quest’ultima entrare nell’oleodotto South Stream ha un’importanza storica e geopolitica dirompente.

Alcune settimane fa avevamo già commentato il significato dell’accordo tra Russia e Italia. Stratfor, dall’altra parte, offre un ottimo riassunto, anche numerico, dell’intero progetto. In questo articolo, tiriamo le somme del sodalizio russo-turco.

I rapporti tra Mosca e Ankara sono stati, storicamente, difficili. L’impero turco e quello zarista per secoli si sono infatti sfidati per il controllo delle steppe caucasiche. Con la rivoluzione d’Ottobre, la situazione non sarebbe cambiata. Infatti, all’iniziale isolazionismo di Mosca, seguì l’espansionismo sovietico che contribuì ulteriormente a rendere difficili le relazioni tra i due Paesi. Il fatto, poi, che l’Unione Sovietica fosse andata a porre il suo controllo su popolazioni turcomanne (Azerbaijan, Turkmenistan, etc.), e che la Turchia fosse ancorata nel blocco atlantico, non rese la convivenza più semplice.

Agli interessi opposti si aggiungeva così rancore etnico e ideologico oltre ad un senso di rivincita nazionalista che chiedeva giustizia anche per il continuo finanziamento da parte di Mosca del PKK.

Finita la Guerra fredda, la Turchia ha scoperto una centralità diversa. Da bastione contro l’espansionismo sovietico, è diventato il pilone – dotato di una sua indipendenza – americano in Medio Oriente e in Asia centrale. Nel primo caso doveva controllare Iran e Iraq, nel secondo doveva permettere l’afflusso di gas e petrolio dall’Asia centrale. Non è un caso che, anche per vendicare il sostegno sovietico ai curdi, Ankara abbia dato un appoggio non troppo velato ai ribelli ceceni: attraverso la Cecenia dovevano passare i gasdotti euro-americani. Se quell’area fosse diventata instabile, la Turchia avrebbe rappresentato l’alternativa obbligata. Ankara lavorò attivamente perché l’instabilità prendesse piede.

Il fatto che oggi Turchia e Russia si siedano allo stesso tavolo per siglare un accordo proprio sulle pipeline rappresenta pertanto una svolta a 360° rispetto agli ultimi 500 anni di relazioni tra Mosca e Ankara. A questo proposito, valgono una serie di considerazioni.

In primo luogo, Ankara si sta allontanando sempre più da Washington. O quanto meno, dà segni di una certa insoddisfazione. Può essere che la Turchia veda nell’attuale indebolimento americano l’apertura di maggiori spazi di manovra. Oppure sia insoddisfatta dell’apprezzamento dato al suo ruolo euro-atlantico. In ogni caso, stiamo osservando alcuni movimenti insospettabili fino a qualche anno fa. Le implicazioni sono notevoli per gli anni a venire: spaziano dal ruolo della Turchia nella NATO, alla stabilità e ordine del Medio Oriente, fino all’indebolimento relativo americano nella transizione verso un mondo multipolare.

In secondo luogo, la Russia sta mostrando un rinnovato attivismo volto a ridarle prestigio e influenza in Europa. Per fare ciò, essa sta adottando una strategia pacata, oculata e sapiente che finora ha portato notevoli risultati. Legandosi all’Italia, alla Germania e alla Turchia, Mosca ha spaccato a metà l’Europa, ha allontanato Washington da Roma, Berlino e Ankara e soprattutto ha servito sia i suoi interessi commerciali che strategici senza dover pagare conti particolarmente salati. In questa situazione, Bruxelles (o Parigi e Londra) e Washington sono state prese in controtempo: la reazione non solo è arrivata tardi, ma neppure si è sentita. Anche in questo caso, questo processo solleva numerosi interrogativi che spaziano dal futuro dell’Unione Europa, alla centralità dell’asse atlantico fino alla sicurezza energetica europea e agli obiettivi di medio termine che la Russia coltiva verso l’Europa – sia orientale che occidentale.

Il terzo capitolo riguarda le relazioni russo-turche. Fare previsioni è difficile. Le alleanze si creano e si smontano. Nascono e muoiono. Ankara e Mosca avrebbero moltissime ragioni per sedersi su lati opposti del tavolo. Oggi si stringono la mano. Il declino relativo americano, e la crescita di importanza geopolitica di Medio Oriente, Caucaso e Asia centrale, stanno rafforzando la Turchia. Come detto, questa può non essere soddisfatta di quanto il nucleo euro-atlantico le offre. C’è però da chiedersi se Putin sia in grado, in futuro, di accogliere tutte le sue richieste. L’Impero Ottomano ha dominato il Medio Oriente, Caucaso e Balcani Occidentali per quasi 500 anni. L’attuale transizione geopolitica verso una fase multipolare permette ad Ankara di riprendere un ruolo di primo piano nel teatro regionale che spazia su queste tre aree. L’unica cosa certa, a questo riguardo, è che se Ankara mira a riprendersi quel ruolo, allora il suo avversario principale sarà di nuovo uno: Mosca.


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