di Andrea Gilli
In un articolo pubblicato su Epistemes la scorsa settimana cercavamo di spiegare per quale motivo la Germania si era opposta al nostro ingresso nel gruppo di dialogo con l’Iran. Non nascondiamo che allora avevamo accolto la posizione statunitense – di fatto schierata a nostro favore – con sorpresa. Alla fine, il sostegno americano era solo una posizione di facciata. Il primo regalo offertoci dal Presidente Bush nella sua visita in Italia é infatti un niet alla nostra partecipazione al cosiddetto 5+1.
Il filo-atlantismo e filo-europeismo
Nei giorni scorsi, molti osservatori hanno riproposto un’interpretazione alquanto singolare della politica estera italiana nel biennio 2001-06. Secondo costoro, al tempo, il governo Berlusconi avrebbe clamorosamente sbagliato nel non voler entrare nel gruppo che dialogava con l’Iran – i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania. In realtà i fatti stanno diversamente. L’Italia voleva entrarvi, ma gli altri Paesi glielo impedirono. La ragione é presto detta. Gli USA, da parte loro, non volevano avere un ventre molle al tavolo di trattative – l’Italia é infatti il primo partner commerciale di Teheran. Russia e Cina non avevano interesse a far entrare un altro partecipante. Francia, Germania e Inghilterra preferivano rimanere gli unici rappresentanti dell’Europa. L’Italia rimase dunque nell’angolo a guardare come gli altri gestivano i suoi interessi. Se l’atlantismo ostentanto del Governo Berlusconi non aveva pagato, l’europeismo del Governo Prodi non portò maggiori risultati.
Lo stesso si può dire per le relazioni che l’Italia vantava allora anche con Russia e Inghilterra. L’amicizia personale che il Premier Berlusconi riuscì a stringere con il presidente Putin e con il primo ministro Blair avrebbe fatto sperare per una maggiore considerazione per il nostro Paese. Eppure, anche in questo caso, non fu così.
Ciò suggerirebbe la necessità di un forte ripensamento dei modi nei quali approcciamo lo scenario internazionale. La realtà sembra infatti suggerire che a contare non siano tanto le ideologie o le posizioni sponsorizzate. Il nuovo Governo non sembra ancora essersene reso conto. La nuova formazione guidata da Silvio Berlusconi si é infatti nuovamente presentata come campione di filo-americanismo e filo-atlantismo a prescindere. Non é un male essere amici dell’America. Ciò che bisogna capire è che gli altri Paesi non prendono posizione a prescindere. Washington fa le sue scelte in modo ragionato per difendere al meglio i propri interessi. Anche se ciò comporta penalizzare un Paese amico.
Una politica estera seria
Anche questa volta avevamo invece pensato, con un misto di ingenuità e goffaggine, che le cose stessero diversamente. Ecco come siamo stati ripagati. Prima la Germania, e poi gli Stati Uniti si sono girati dall’altra parte. Possiamo continuare a fare l’Italietta, e quindi a lasciare che gli altri gestiscano per noi i nostri affari. Oppure possiamo mostrare un po’ più di vigore. Il primo passo consiste ovviamente nel rafforzare la nostra posizione internazionale – e per fare ció dobbiamo agire sull’unica variabile che conta, la nostra forza relativa. Bisogna efficientare il nostro Paese, farlo crescere economicamente, socialmente, culturalmente e, quindi, politicamente. Dobbiamo favorire la crescita tecnologica, la ricerca, lo sviluppo. A quel punto la classe dirigente dovrebbe rafforzare la nostra politica estera nei suoi vari strumenti: dalla difesa alla cooperazione, dalla sicurezza energetica al commercio.
Ciò richiede anni, se non decenni. Nel frattempo possiamo evitare di essere ulteriormente declassati. Se il 5+1 ritiene che all’Italia non competa dialogare con l’Iran, nostro fondamentale partner economico, allora il nostro Governo dovrebbe suggerire che esso non ha alcun interesse da difendere neanche in l’Agfhanistan, Paese che confina con l’Iran. E che per tanto, le nostre truppe in loco non hanno alcuna ragione di rimanervi. Se non siamo i benvenuti a Teheran, allora perchè dobbiamo esserlo anche a Kabul? Si potrebbe far presente questo dato sia alla Merkel che a Bush e vedere come loro reagiranno. prostarci ai loro piedi e giurare fede eterna verso l’Atlantismo piuttosto che l’Europeismo non è il modo migliore difendere gli interessi italiani.
In modo analogo, l’Italia dovrebbe e potrebbe intavolare trattative dirette con il regime iraniano per iniziare a difendere i propri interessi economici autonomamente dalle decisioni del 5+1. Da questa prospettiva, la scelta di non ricevere il presidente Ahmadinejad una settimana fa – salutata da molti con apprezzamento – risulta quanto mai sbagliata, inopportuna e ingenua. Ora che siamo stati scaricati anche dagli Stati Uniti, poter approciare direttaente l’Iran farebbe al nostro caso.
Conclusioni
Prima di concludere, conviene evidenziare come dal caso del 5+1 emergano almeno due importanti lezioni, che andrebbero tenute fortemente in considerazione in futuro. In primo luogo, cantando a squarciagola, a giorni alterni, l’inno europeo o quello americano, ci siamo dimenticati quello italiano. E con esso anche che la nostra politica estera deve servire i nostri interessi, non quelli degli altri.
In secondo luogo, il paradigma della politica estera italiana che domina la nostra iniziativa dall’Unità ad oggi si rivela quanto mai fallimentare. Pensare di guadagnare punti a livello internazionale attraverso l’invio di truppe all’estero non ha quasi mai pagato. Oggi questo approccio si dimostra totalmente infruttifero. Il caso della Germania è rivelatore. Berlino non ha truppe in Libano né ha mandato truppe in Iraq. Eppure partecipa al 5+1. L’Italia, con uno sforzo economico enorme, ha mandato i suoi soldati nei due Paesi. Oltre a molte pacche sulle spalle di ringraziamento non è arrivato nulla.
Conviene dunque concentrarsi altrove. La Germania è stata chiamata nel 5+1 perché, come dicono gli scienziati politici, è un Paese “forte”. Se vogliamo contare di più, dobbiamo rafforzarci. Questa è l’unica alternativa. Resta solo un dubbio: che l’invio di truppe all’estero non sia stato storicamente un tentativo per aggirare l’impossibilità di rafforzare (leggi: riformare, efficientizzare, etc.) il nostro Paese. E’ un’ipotesi. Il lavoro del Governo Berlusconi la confermerà o la rifiuterà. Non resta che aspettare. E sperare.
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