di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Un articolo pubblicato di recente sulla rivista online Economia e politica, a firma di Pasquale Tridico e Walter Paternesi Meloni, dell’Università di Roma Tre, indica come finanziare un ipotetico (ma non troppo) reddito minimo condizionato alla ricerca di un’occupazione. La proposta è stata indicata da alcuni esponenti del M5S come idonea a produrre una sorta di copertura “spontanea” del costo del reddito di cittadinanza.
La premessa è l’ampiezza dell’output gap, cioè del “buco” di prodotto interno lordo rispetto al potenziale. Si tratta di una grandezza rilevante perché è quella che, nelle stime della Commissione Ue, determina indirettamente i margini di manovra fiscale disponibili ad un governo. Il Pil potenziale si può definire come il tasso di crescita di un’economia tale da determinare il pieno impiego delle risorse produttive senza determinare pressioni inflazionistiche. In particolare, il modello utilizzato dalla Commissione Ue utilizza come parametro critico il NAWRU, cioè il tasso di disoccupazione che non produce inflazione salariale.
L’annoso contrasto, tra governo italiano e Commissione Ue, è relativo al livello di disoccupazione “strutturale”, cioè non comprimibile senza produrre inflazione salariale. Il modello Ue fissa il tasso strutturale di disoccupazione italiana ad un livello molto elevato (nel 2016 era il 10,1%), ritenendo cioè che un’elevata quota dei nostri senza lavoro non possano essere riassorbiti mediante semplici politiche economiche espansive.
Si tratta, in pratica, della certificazione di un’elevata isteresi dell’economia italiana, cioè dell’incapacità del tasso di disoccupazione a tornare al livello precedente uno shock avverso, anche dopo che il medesimo è stato superato. Senza scendere in eccessivo dettaglio, tra le componenti dell’isteresi vi è il fenomeno dei lavoratori scoraggiati, cioè quelli che, dopo un periodo di infruttuosa ricerca di un lavoro, smettono di cercare.
Da qui muove la proposta di Tridico e Paternesi Meloni, secondo i quali serve aumentare il Pil potenziale attraverso l’aumento del tasso di partecipazione alla forza lavoro. In tal modo crescerebbe anche l’output gap (il “buco” di attività rispetto al livello corrente), e si giustificherebbe quindi un aumento del margine fiscale per il nostro paese, cioè della possibilità di fare più deficit. Secondo gli autori, se gli scoraggiati partecipassero al mercato del lavoro, anche il Pil potenziale sarebbe innalzato, e con esso il margine di deficit strutturale consentito al governo.
Si, ma come riportare gli scoraggiati al mercato del lavoro? Secondo i due economisti di Roma Tre, “Ciò potrebbe essere favorito da un sussidio (da distinguere da quello di disoccupazione) che li spingerebbe a cercare attivamente lavoro iscrivendosi ai centri per l’impiego e frequentando corsi di formazione”. Non viene dettagliato di che corsi di formazione dovrebbe trattarsi e quale prospettiva di occupabilità i medesimi potrebbero produrre, ma non siamo pignoli.
Segue quantificazione del maggiore margine di deficit che l’operazione consentirebbe, in quello che gli autori definiscono “un semplice esercizio di statica comparata”, cioè tenendo fermi i parametri usati per le stime del 2016. Ipotizzando un milione di scoraggiati “riattivati”, si potrebbero fare altri 19 miliardi di deficit. I miliardi di deficit in più salirebbero a 38 e 55 se nella forza lavoro rientrassero rispettivamente in due o tre milioni. In Italia oggi abbiamo circa 3,2 milioni di persone in queste condizioni, le cosiddette forze di lavoro potenziali. Una vera cornucopia di flessibilità, cioè di deficit.
Non casualmente, i due autori osservano che questa maggiore flessibilità servirebbe a ripagare ampiamente il reddito di cittadinanza pentastellato, definito più correttamente “reddito minimo condizionato”. In omaggio, ci sarebbero pure 4 miliardi di euro aggiuntivi per integrare la lotta alla povertà. E vissero tutti felici e contenti, grazie a questa poderosa macchina del moto perpetuo.
Basta pagare gli scoraggiati per iscriversi al collocamento e frequentare questi taumaturgici corsi di formazione, ed ecco tanti bei soldini a deficit, che magari verrebbe ripagato dalla poderosa crescita di consumi e investimenti indotta dal reddito di cittadinanza e dalla ritrovata occupazione degli ex inattivi. È l’uovo di Colombo, un capolavoro di reverse engineering: ridurre “per legge” (e sussidio) gli scoraggiati e sperare che i medesimi riescano a reimpiegarsi, grazie a collocamento e formazione.
Il problema è che nulla, ma proprio nulla, garantisce che le cose andrebbero in questi termini. Senza ignorare, a differenza di quanto pare facciano gli autori, che sul tasso di disoccupazione e sull’isteresi pesano anche gli effetti della contrattazione collettiva, che “protegge” gli insider a danno degli outsider, ed i costi di ricerca e incrocio di domanda e offerta dei profili professionali (search e mismatch). Ma forse i due economisti di Roma Tre sono convinti che gran parte di questi effetti avversi sarebbero riassorbiti grazie all’accoppiata vincente collocamento e formazione. Sognare non allarga il deficit, dopo tutto.
Scopri di più da Epistemes
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.