di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
La riforma fiscale statunitense, che segna il primo vero successo della presidenza Trump e del partito Repubblicano che controlla il Congresso ma è lungi dall’essere un monolite, è centrata sulla riduzione fiscale permanente alle imprese, sia di capitali che di persone, mentre per le persone fisiche i benefici, pesantemente orientati sui soggetti ad alto reddito, si produrranno sino al 2025.
La riforma, che è stimata produrre un buco di gettito di 1.500 miliardi di dollari in dieci anni, contiene alcuni elementi fortemente innovativi, come la possibilità di spesare (sino al 2023) gli investimenti in attrezzature e macchinari immediatamente nell’esercizio in cui sono sostenuti, circostanza che consentirà alle imprese di abbattere in modo rilevante il proprio tax rate.
La misura appare un volano per gli investimenti, anche se in realtà determinerà soprattutto una forte anticipazione di programmi di spesa in conto capitale. Un ulteriore, rilevante beneficio alle aziende deriverà dall’eliminazione della Corporate Alternative Minimum Tax, un meccanismo antielusione che ha sin qui posto un’aliquota minima del 20% sulla definizione fiscale dell’utile di esercizio.
Per recuperare gettito viene limitata la deducibilità degli interessi passivi al 30% dell’utile operativo, con eccezioni settoriali come l’immobiliare, che vive di leva finanziaria e che sarebbe stato pesantemente penalizzato. Sul rimpatrio di utili detenuti all’estero sono previste due aliquote: al 15,5% per gli utili cash, e dell’8% per quelli non cash.
La riforma assesta il colpo di grazia all’Obamacare, già moribondo di suo, eliminando le sanzioni, già blande, per chi non sottoscrive una polizza sanitaria. Per contro, tra le voci di copertura degli sgravi, è previsto che per i prossimi due periodi di imposta le spese mediche qualificate potranno essere dedotte non più sino al 10% del reddito imponibile bensì sino al 7,5%.
Come detto, gli sgravi fiscali alle persone fisiche sono limitati nel tempo e fortemente orientati ai redditi più elevati: secondo il Penn Wharton Budget Model, ripreso dal Financial Times, al 2025 (anno di scadenza dei tagli per le persone fisiche), il 20% dei contribuenti a maggior reddito avrà beneficiato dei due terzi dello sgravio complessivo.
I Repubblicani replicano alle critiche di aver realizzato una riforma a misura di imprese e ricchi richiamando le spiegazioni da libro di testo, secondo le quali l’aumentato tasso di investimento, traducendosi in maggiore produttività, si trasformerà in maggiori salari. La riforma contrasta il trasferimento all’estero degli utili, soprattutto quelli legati alla proprietà intellettuale, sin qui attuata mediante pagamento di royalties su marchi e brevetti e accensione di debito infragruppo, stabilendo una imposta minima ma calcolata secondo criteri più blandi di quelli previsti originariamente, e meno lesiva degli interessi delle multinazionali non statunitensi, circostanza che potrà forse evitare un contenzioso con la Ue in sede WTO.
Le maggiori aziende Usa hanno accolto positivamente la riforma fiscale, e si accingono a “ringraziare” aumentando i salari minimi o pagando piccoli bonus ai dipendenti, come nel Caso di AT&T, che ha annunciato mille dollari di extra ad ognuno dei suoi duecentomila lavoratori.
Riguardo all’impatto sulla crescita, al momento la Fed non pare scontare accelerazioni, ma solo i prossimi mesi daranno il polso della situazione. La reazione a caldo dei mercati obbligazionari è stata quella di credere all’impulso espansivo della riforma, facendo risalire i rendimenti sul dollaro. Quanto al mercato azionario, dopo la galoppata dell’ultima parte dell’anno, è verosimile che abbia scontato il gradino all’insù degli utili per azione del 2018, e da qui in avanti si cercheranno conferme dell’effettivo potenziale di surriscaldamento dell’economia indotto dalla riforma.
La sfida ora si sposta alle elezioni di midterm, a novembre del prossimo anno. Ma gli effetti, soprattutto sociali, della riforma si percepiranno appieno solo su un orizzonte temporale ben più esteso.
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