di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Il Portogallo ha chiuso il 2016 con un rapporto deficit-Pil del 2,1%, il minore dalla caduta della dittatura, nel 1974. L’eclatante risultato pare dare ragione al governo monocolore socialista di Antonio Costa, che gode dell’appoggio esterno di comunisti, verdi e del Blocco di Sinistra, una composita maggioranza ribattezzata il “marchingegno” e che fa della lotta all’austerità il proprio obiettivo.
Il governo Costa, al potere dal 2015, ha cancellato i tagli di pensioni e retribuzione del pubblico impiego, riportandone la settimana lavorativa a 35 ore, reintrodotto le quattro giornate di festività tagliate per ridurre il costo del lavoro, ridotto l’Iva sulla ristorazione dal 23 al 13%, sfidando Bruxelles, aumentato il salario minimo, ripristinato la contrattazione collettiva per le imprese pubbliche. La risposta è stata un miglioramento della fiducia delle famiglie, tornate a consumare dopo i duri anni del Memorandum imposto dal salvataggio europeo per 78 miliardi di euro, nel periodo 2011-2014. L’ottimo risultato del deficit ha spinto il governo di Lisbona al pressing sulla Commissione Ue per uscire dalla procedura per deficit eccessivo, oltre a mandare in visibilio quanti pensano che sia possibile crescere senza dolorosi tagli.
Il Paese resta tuttavia con importanti vulnerabilità, prima fra tutte un settore bancario simile a quello italiano per incidenza delle sofferenze e dissesti sin qui molto costosi ma ancora irrisolti, come Caixa Geral de Depositos e Novo Banco. L’eccellente risultato di bilancio del 2016 è stato tuttavia conseguito con un vero e proprio crollo degli investimenti pubblici, tagliati del 30%, e con blocco del tiraggio delle spese correnti a fine anno. Sono interventi che ricordano quelli italiani dei tempi che furono e che rischiano di ipotecare lo sviluppo della produttività. Per il 2017 la legge di bilancio prevede un ulteriore calo del deficit-Pil, a 1,6%, fatto con misure una tantum quali un extra dividendo dalla banca centrale ed il venir meno della garanzia di stato su una banca posta in liquidazione.
Sul piano fiscale è prevista l’introduzione di un’imposta sugli immobili “di lusso”, con valore superiore a 600.000 euro, e la monetizzazione del boom turistico che ha sin qui puntellato l’economia del paese, con un aumento della tassazione dal 15 al 35% sui redditi di appartamenti affittati da turisti. Previsto anche un blocco al 50% del turnover dei dipendenti pubblici. Malgrado la ripresa del Pil ed il calo del deficit, il rapporto debito-Pil portoghese è cresciuto nel 2016 di un punto e mezzo, al 130,5%, indicando che la stabilizzazione non è ancora divenuta circolo virtuoso.
L’economia portoghese rischia quindi di consolidarsi in una “specializzazione” a basso valore aggiunto (soprattutto turismo) e bassa crescita della produttività. Se queste misure “di sinistra” serviranno a conseguire la sostenibilità dei conti pubblici e garantire la dignitosa stagnazione del paese, resta da verificare.