di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
La prima stima della variazione del Pil italiano nel secondo trimestre conferma che la nostra economia resta intrappolata in un quadro di persistente stagnazione: un torpore che non viene scosso neppure da condizioni esterne eccezionalmente favorevoli. La crescita nulla nel trimestre e dello 0,7% sull’anno ci allontana da quell’1% che pare essere il nostro massimo potenziale. Con un tasso di occupazione e partecipazione alla forza lavoro tra i più bassi al mondo e una crescita della produttività che resta pressoché nulla, difficile attendersi molto di più, malgrado l’ossessiva grancassa sulla creazione di nuova occupazione per misteriosa mano del Jobs Act.
La bontà di un piano di riforme strutturali si misura dall’innalzamento del tasso di crescita del Pil potenziale, ed al momento nulla fa pensare che l’Italia abbia conseguito questo risultato. L’industria si trova ormai da tempo in condizioni di sostanziale recessione: il motore della crescita dello scorso anno, la fabbricazione di mezzi di trasporto, sta perdendo colpi. Le produzioni italiane di Fiat sono significativamente orientate all’export: ciò significa che siamo “a leva” sulla congiuntura mondiale, nel bene e nel male. L’andamento dei consumi ha messo da mesi la retromarcia, costringendo i dettaglianti e la loro filiera di fornitura ad aggressive campagne di sconti per allettare una domanda sempre più parsimoniosa ed opportunistica.
In un simile quadro, e nella persistente debolezza degli investimenti, pubblici e privati, l’esito non può essere differente dalla stagnazione. La maggiore criticità resta lo stato della finanza pubblica. Lo scorso anno, per neutralizzare clausole di salvaguardia introdotte per la quasi totalità dal suo governo, Matteo Renzi ha ottenuto, dopo una campagna di strepiti contro la Ue, un accomodamento fiscale. Per il 2017 il copione è destinato a ripetersi: dall’esecutivo è già uscito il “whisper number” di 2,3% di deficit-Pil che servirebbe a porre l’ennesima toppa, per circa 8 miliardi di euro.
Il problema è che, continuando ad espandere il deficit, sia nominale che strutturale, in una fase comunque non recessiva, si rischia di arrivare alla prossima crisi con conti pubblici in condizioni di estrema fragilità. L’Italia sta faticosamente quadrando il proprio bilancio anche con il consistente risparmio sulla spesa per interessi, grazie alla Bce ed alla morte apparente del premio al rischio emittente. Ciò è reso possibile dalla benevola negligenza dei tedeschi, che evidentemente temono che premere sul pedale del rigore mandi al potere movimenti populisti nei maggiori paesi europei. Malgrado un servizio del debito ai minimi storici, il nostro rapporto debito-Pil non flette, e questa è una vulnerabilità molto seria. Sin quando la quiete politica europea durerà, Renzi potrà tentare di galleggiare, fingendo di stimolare la “crescita” di un paese ormai in stallo che compra tempo spremendo le ultime gocce di deficit concessogli.
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