E il merito non era di Renzi

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Le autocelebrazioni per il secondo anniversario del governo Renzi cadono in un momento non troppo fortunato, stanti i reiterati segnali di rallentamento globale. Quali sono state le realizzazioni in economia del rottamatore immaginario? E soprattutto, fu vera crescita? La risposta è negativa.

Quello che abbiamo sinora sperimentato è l’effetto prevalente di shock positivi esterni irripetibili, accoppiati all’ennesima occasione italiana sprecata a mezzo di una politica fiscale fatta di elargizioni scoordinate, inefficaci ed inefficienti. Col rallentamento riemergono antiche fragilità strutturali ed altrettante recriminazioni contro presunte “forze esterne” che punterebbero a metterci in castigo, evidentemente invidiose del nostro successo e della nostra storia. Anche l’attuale fase non fa eccezione.

Sono tornate vibrate proteste, a editorialisti unificati, contro la Commissione Ue che ci impedisce di fare deficit e debito per salvare le nostre banche; denunciamo presunti favoritismi a beneficio di sistemi bancari misti altrui, dove il bail-in non può essere attuato su base sistematica perché il costo dei salvataggi di banche pubbliche resta per definizione sulle spalle dei contribuenti; rivendichiamo orgogliosamente banche sanissime ma chiediamo a pieni polmoni che i contribuenti europei garantiscano i nostri depositi, fissando la linea del Piave del “nessuno tocchi i titoli di stato delle nostre banche”; protestiamo vibratamente contro una immaginaria austerità europea e contro il mercantilismo tedesco senza esserci accorti che da un paio d’anni la posizione fiscale dell’Eurozona è tornata moderatamente espansiva e la crescita tedesca viene da consumi domestici e spesa pubblica.

Che Renzi fosse condannato ad alzare vieppiù la voce in Europa e trasformarsi in una sorta di grillino di governo era fatale, vista la sua tendenza a fare deficit d’antan, come i suoi progenitori democristiani. Con l’arrivo a Chigi di Tommaso Nannicini, padre intellettuale del Jobs Act, si apre l’ineluttabile presa di coscienza della costosa inutilità di sussidi temporanei di decontribuzione alle nuove assunzioni, da cui è in corso la progressiva fuoriuscita, completata la quale dovremo capire dove trovare le risorse per tentare di ridurre per tutti un cuneo fiscale che resta il maggiore ostacolo alla ripresa. Se le risorse immolate sull’altare degli 80 euro e detassazione della prima casa fossero state destinate a decontribuzione su base strutturale, ora forse avremmo meno rimpianti. Abbiamo invece l’ulteriore ipoteca che, se i conti pubblici tornassero a scricchiolare sotto il peso di un rallentamento o di una recessione, i contribuenti torneranno a percepire tali elargizioni come transitorie, e riprenderanno a risparmiare a scopo precauzionale.

La sintesi è che abbiamo buttato alcuni anni e molti miliardi, restiamo convinti che il mondo congiuri contro di noi e perseveriamo diabolicamente a tornare al via, nel gioco dell’oca del nostro declino avvelenato e parolaio.