di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
In queste settimane Matteo Renzi è impegnato in un braccio di ferro, a tratti tra il surreale ed il grottesco, per ottenere dalla Commissione europea i decimali di cosiddetta flessibilità che il governo si è speso nella legge di Stabilità 2016. Sono stati mesi trascorsi a cercare ogni appiglio contabile per giustificare l’ulteriore 0,2% di deficit-Pil: prima la clausola migranti, poi il terrorismo, ora ancora una bizzarra richiesta di par condicio con gli aiuti dati dalla Ue alla Turchia per “trattenere” i profughi siriani in fuga verso l’Europa.
Renzi strepita contro un’improbabile “austerità” europea ma nulla conferma che in questo momento la posizione fiscale dell’Eurozona è restrittiva o neutrale: anzi, semmai è palesemente il contrario, numeri alla mano. Come ormai noto a tutti o quasi, Renzi in due anni ha fatto crescere il deficit mediante continuo “riporto a nuovo” delle clausole di salvaguardia, ed ora vede avvicinarsi il momento della resa dei conti, o più propriamente il muro della realtà. Per comprendere ciò, basta osservare che lo scorso settembre, mentre la ripresa europea sembrava in accelerazione, Renzi presentava un aggiornamento al DEF che prevedeva più deficit. Oggi, con evidenze di rallentamento e forse qualcosa di peggio, Renzi invoca più deficit. Questo la dice lunga sulla presunta “astuzia” del premier italiano, forse davvero convinto che con più deficit, di qualità peraltro scadente, fosse possibile togliere il paese dalle secche della stagnazione.
Dietro a proclami di grande afflato federalista europeo e spin simbolici come la gita a Ventotene, resta da capire cosa Renzi voglia e dove intenda fermarsi. Una lettura minimale lo vuole impegnato a strappare quel maledetto 0,2% di deficit aggiuntivo per poi rimettersi tranquillo, almeno per qualche tempo. Di certo, il premier italiano è sprovvisto di leve negoziali: per avere la garanzia europea sui depositi bancari deve accettare quello che i tedeschi chiedono, cioè che i titoli di stato posseduti dalle banche siano ponderati per il rischio, come si fa per i normali prestiti, e che in caso di dissesto un paese possa sospendere il pagamento di interessi e rimborsi sul proprio debito sovrano. Al contempo, detto brutalmente e semplicemente, Renzi non ha i soldi pubblici per fare quello che potrebbe consentire all’Italia di rendersi parzialmente autonoma dai “vincoli” comunitari.
Che accadrebbe se Renzi decidesse di “ribellarsi” definitivamente ai vincoli europei (che a volte sono solo vincoli di realtà), e la Bce sospendesse gli acquisti di titoli di stato italiani? Domanda ovviamente retorica: accadrebbe che l’Italia sarebbe terremotata ed andrebbe verso il default. Ecco perché i margini di manovra di Renzi (e di qualunque altro premier italiano) sono assai limitati. Unica alternativa “coerente”, anche se di pura fiction: uscire dalla moneta unica ed attendere fiduciosi che vada un po’ meglio non prima che vada assai peggio, al limite dell’evento bellico. O forse oltre.
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