di Andrea Gilli
All’indomani degli attacchi di Parigi, le relazioni tra l’Occidente (inteso come NATO/UE e Stati Uniti) e la Russia hanno fatto un poderoso salto in avanti, con la Russia proiettata a diventare un partner nella lotta all’ISIS. Gli osservatori sono divisi. Da una parte, secondo alcuni solo una cooperazione militare con la Russia può aiutare a sconfiggere questa nuova ondata di terrorismo islamista. Dall’altra, molti sono scettici se non contrari ad interagire con un autocrate che ha adottato, negli ultimi anni, politiche non solo discutibili ma anche destabilizzanti (si veda l’Ucraina). Chi ha ragione? A mio modo di vedere, nessuno dei due.
Partiamo in primo luogo dalla questione centrale: le origini della guerra civile siriana e l’ascesa di ISIS.
La guerra civile siriana è esplosa durante la Primavera araba come reazione al regime laico e dittatoriale di Bashar al-Assad. La guerra civile si è espansa per tre ragioni. In primo luogo, la Siria è guidata da una minoranza alawita laica su una maggioranza sunnita che, in alcune sue frange, è molto radicale. Chiaramente, una tale situazione si può reggere solo se il regime è in grado di ottenere la cooperazione di una parte significativa della popolazione tramite benefici economici, politici e sociali. Con la guerra civile, questi sono venuti meno, anche perché la brutalità della reazione governativa ha spinto molti sunniti a distanziarsi da Assad (inclusi molti elementi degli apparati di sicurezza).
Probabilmente Assad avrebbe comunque potuto sopprimere le rivolte se non ci fosse stato l‘intervento straniero: Arabia Saudita, Qatar e Turchia (tra gli altri) hanno attivamente finanziato e armato i ribelli siriani (incluso ISIS), spostando progressivamente l’equilibrio militare a favore degli insorti.
Il terzo elemento è stato il collasso dell’esercito iracheno, avvenuto a causa del ritiro americano che, favorendo nuove dispute politiche in seno al governo di Baghdad, ha distrutto il morale delle forze armate. Ciò ha permesso ad ISIS di espandersi in Iraq e quindi guadagnare territorio, risorse e nuove membri.
Da questo contesto, emergono due elementi. La forza di ISIS dipende principalmente, da una parte, dalla debolezza degli avversari e, dall’altra, dal supporto esterno fornito da altri stati sunniti. Come mai dunque Arabia Saudita, Turchia e Qatar hanno finanziato ISIS? Vi sono numerosi fattori, ma il minimo comune denominatore è l’ascesa iraniana che si è osservata negli ultimi anni, grazie al crollo di Saddam Hussein (l’Iraq è un Paese a maggioranza sciita, proprio come l’Iran) e al suo programma nucleare.
In altri termini, man mano che l’Iran guadagnava posizioni in Medio Oriente i Paesi sunniti hanno cercato di contrastarne l’avanzata: va ricordato che oltre all’Iraq, anche i Paesi del Golfo hanno importanti minoranze sciite ampiamente sostenute se non fomentate dall’Iran negli ultimi anni (dal Bahrein allo Yemen) con lo scopo non celato di guadagnare ulteriore influenza regionale.
ISIS va dunque compreso da una prospettiva più ampia dello scontro interno all’Islam politico tra sunniti e sciiti. Ne consegue, che un’alleanza con la Russia, che rievochi il patto con Stalin per sconfiggere Hittler, è fuori luogo. Non siamo di fronte ad un nemico che possiede impressionanti capacità militari (tecnologia e dottrine tattico-operative). Più semplicemente, siamo di fronte ad un avversario subdolo che sfrutta le frizioni, le tensioni e le contraddizioni tra i Paesi della regione. D’altronde, il mese scorso la Russia ha iniziato delle operazioni militari contro i ribelli anti-Assad al fine di mantenere quest’ultimo al potere. Queste però, presto, hanno mostrato notevoli limiti. Difficile dunque pensare che la Russia possa fornire un contributo militare fondamentale a sconfiggere ISIS, soprattutto nel momento in cui la guerra contro ISIS dovesse diventare una guerra asimmetrica come quelle in Iraq e in Afghanistan nella quale gli insorti hanno notevoli vantaggi tattici e operativi.
Chi però ritiene che non sia opportuno cooperare con la Russia, in quanto regime autocratico e destabilizzante, ha altrettanto torto. Le ragioni si trovano proprio nelle origini geopolitiche dello scontro in atto. Il ruolo politico e diplomatico russo mi pare infatti fondamentale per poter trovare una soluzione alla crisi grazie ai suoi rapporti privilegiati tanto con l’Iran che con Assad.
L’Iran sostiene Assad in quanto questo non è solo uno dei suoi pochi alleati nella regione, ma anche un ponte verso il Libano, e quindi Hezbollah. La minaccia diretta che Hezbollah rappresenta per Israele conferisce infatti all’Iran un maggior potere negoziale verso i Paesi occidentali e, in particolare, gli Stati Uniti. I Paesi sunniti vedono invece il supporto ad ISIS come un mezzo per distrarre risorse iraniane dal Golfo. Purtroppo, far quadrare il cerchio di questi interessi contrastanti è estremamente difficile.
L’influenza regionale non è un bene facilmente divisibile in quanto si tratta di un gioco a somma zero. In fatto che negli ultimi anni l’Iran si sia enormemente rafforzato in Medio Oriente rende la situazione più complessa: in poco più di un decennio, l’Iran ha perso due nemici – i Talebani in Afghanistan e Saddam Hussein in Iraq, ha avuto maggiore accesso alle popolazioni sciite in Medio Oriente e, di recente, ha visto la cancellazione delle sanzioni che penalizzavano la sua economia – grazie all’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti.
La metafora è probabilmente trita e ritrita, ma la sconfitta di ISIS sembra passare inevitabilmente per una sorta di Pace di Westfalia nella quale l’ordine regionale viene riscritto sulla base di una serie di principi politico-diplomatici in cui i vari Stati della zona accettano una limitazione dei propri interessi al fine di assicurare la stabilità regionale. In altri termini, Arabia Saudita, Qatar e Turchia smettono di finanziare ISIS. L’Iran interrompe le sue campagne politico-militari nel Golfo. A quel punto, grazie alla diplomazia russa, si trova una nuova configurazione per la Siria.
La nota dolente è che la Pace di Westfalia arrivò dopo una guerra delle guerre più sanguinose dell’umanità. Se al momento nessun attore sembra intenzionato ad andare verso uno scontro frontale e quindi una guerra regionale, è parimenti difficile pensare che si possa giungere in breve alle condizioni per una pace: perché mai negoziare quando il costo relativo delle attuali politiche (dal finanziamento di ISIS al supporto fornito ad Assad) è relativamente limitato?
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