Il disastro brasiliano è solo all’inizio ma la colpa non è del liberismo

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

La situazione dell’economia brasiliana peggiora di settimana in settimana. Secondo l’indice di attività economica della banca centrale brasiliana, che traccia l’andamento del Pil, a settembre l’economia si è contratta dello 0,5% rispetto ad agosto, portando la decrescita al 5,85% su base annua. E’ ormai una caduta libera, con inflazione pressoché incoercibile al 10%, malgrado reiterati aumenti del costo del denaro che hanno contribuito ad abbattere il morale di famiglie ed imprese.

La disoccupazione è decollata e ad agosto era all’8,7%; la produzione di autoveicoli, nel periodo gennaio-ottobre, è in calo di un quarto sullo stesso periodo dello scorso anno. Gettito fiscale in forte calo e spesa pubblica incomprimibile porteranno quest’anno il rapporto deficit-Pil oltre il 9%. Né c’è speranza che le Olimpiadi di Rio, che vedranno la cerimonia inaugurale il prossimo 5 agosto, possano risollevare il paese. Il governo di Brasilia ha tagliato i budget, invitando i contractor privati ad “arrangiarsi”. Nello stato di Rio, nei primi nove mesi dell’anno, sono andati persi 115.000 posti di lavoro, il 17% della perdita nazionale. Gli affitti da inizio anno sono calati di oltre il 10%.

E’ il combinato disposto del gigantesco scandalo di corruzione e tangenti che dal gigante petrolifero statale Petrobras si irradia al settore delle costruzioni, oltre che del crollo della stessa rendita petrolifera, che ha fatto crollare gli investimenti. A questo si aggiunge la forza del dollaro, che ha contribuito al crollo del real, alimentando il circolo vizioso di svalutazione ed inflazione. La presidente Dilma Rousseff, ai minimi storici di popolarità e perennemente minacciata da mozioni parlamentari di impeachment, deve affrontare il più classico dei rovesci di politica economica: stringere la cinghia proprio nel momento in cui servirebbe allentarla. E’ l’immagine speculare della stessa gestione pro-ciclica dell’economia che l’ex guerrigliera marxista ha condotto durante il suo primo mandato presidenziale, caratterizzato da una politica fiscale fortemente espansiva, fatta di sussidi a pioggia. L’ennesima riedizione della maledizione delle materie prime, che spinge i governi a comprare consenso come se non vi fosse un domani. Sfortunatamente, il domani arriva puntuale a presentare il conto.

La costituzione brasiliana è molto rigida, in termini di gestione del bilancio pubblico, e di fatto impedisce revisioni profonde dei capitoli di spesa, soprattutto sociale. Negli ultimi giorni il vicepresidente Michel Temer, leader del partito conservatore PMDB, ha lanciato un manifesto di riforme pro-mercato che prevede interventi sul bilancio di sanità ed istruzione, decentralizzazione della contrattazione di lavoro, aumento dell’età pensionabile e fine della indicizzazione delle pensioni al salario minimo. La sofferenza, per il popolo brasiliano, è solo all’inizio. Ma qualcuno dirà che è colpa del liberismo anziché delle follie fiscali di Dilma.


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