La politica monetaria di Draghi non può salvare il mondo da sola

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Durante la conferenza stampa successiva alla riunione periodica della Banca centrale europea, Mario Draghi ha confermato la presenza di rischi al ribasso per crescita ed inflazione, derivanti dalle ripercussioni del deterioramento economico nei paesi emergenti. Di conseguenza, si rende necessaria una revisione del grado di accomodamento della politica monetaria della zona euro, che avverrà nel corso della riunione della Bce di dicembre, quando si conosceranno le nuove previsioni per l’economia.

I mercati scommettono su una estensione e/o potenziamento delle misure eccezionali di stimolo monetario della Bce che ad oggi ha prodotto segni di scongelamento nell’erogazione del credito ma che viene contrastato dalle pressioni deflazionistiche prodotte dal crollo del prezzo di petrolio ed altre materie prime e dal rallentamento cinese con persistente minaccia di deprezzamento dello yuan. Dopo che anche nella Federal Reserve statunitense si è acceso il dibattito sull’opportunità di procedere entro l’anno al primo aumento dei tassi sul dollaro, l’euro rischia un ulteriore rafforzamento, che sarebbe dannoso per le prospettive dell’export dell’Eurozona, in un momento in cui il commercio globale sta già vivendo un forte rallentamento che assomiglia ad una gelata.

Dato questo quadro, fragile e minaccioso, il mercato ha iniziato a scommettere su nuove azioni espansive della Bce oltre che su interventi per tornare ad indebolire l’euro, ad esempio rendendo ancora più negativo il tasso sui depositi delle banche commerciali presso la Bce. Al di là delle tecnicalità, resta il quadro di una zona euro su cui si scaricano le disfunzionalità della costruzione europea ed una congiuntura globale in cui la prospettiva di crescita è sempre più elusiva. La politica monetaria non risolverà i mali economici del mondo, questo è ormai evidente. Quella fiscale è paralizzata dagli elevati stock di debito, pubblico e privato, accumulati in lunghi anni di credito facile prima e salvataggi bancari con denaro pubblico poi.

In Eurozona sembra allentarsi la presa dell’autolesionistica ed ideologica austerità degli ultimi anni ma continua a non essere chiaro dove stiamo andando. Anche con un quadro fiscale a maglie più larghe, resta la volontà della Germania e degli altri paesi creditori di non giungere in alcun caso a forme di trasferimento fiscale e di mutualizzazione del debito. Da tempo in Eurozona è in atto un ripiegamento per linee nazionali, una unione che è pura sommatoria di paesi che tentano di attenuare le interdipendenze reciproche. In tal modo, quando un paese finirà nei guai, se la vedrà con se stesso, magari con un bel taglio al valore dei propri titoli di stato.

Motivo in più per noi italiani per evitare di cadere vittime di antichi miraggi e credere che fare più deficit, anche durante una ripresa, sia la soluzione e si ripaghi da sola. In un mondo a bassa crescita e persistenti pressioni deflazionistiche, i grandi debitori sono sempre ad un passo dal baratro.


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