di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
La “previsione d’autunno” della Commissione europea non ha sorpreso: le stime di crescita per il nostro paese sono sostanzialmente in linea con quelle elaborate dal nostro governo e dall’Istat. Poco meno dell’1% per quest’anno, circa un punto e mezzo per il prossimo. Anche le stime per l’inflazione del prossimo anno sono sostanzialmente concordi, all’1%, frutto soprattutto della scomparsa del “gradone” causato dal crollo dei prezzi del greggio dell’ultimo anno. Interessante il motore della crescita: dopo anni di domanda interna agonizzante e di una precettistica fondata sul motto “export o morte”, l’Italia nel 2016 ricaverà tutta la propria crescita da consumi delle famiglie ed investimenti.
La stabilizzazione del mercato del lavoro ha migliorato il profilo dei consumi mentre le aziende hanno rimesso mano agli investimenti, spesso anche per ammodernare attrezzature ormai prossime al termine del ciclo di vita. Contrariamente ai proclami del governo Renzi c’è molto di fisiologico e ben poco di miracoloso, in un simile andamento congiunturale. La sostenibilità di questa ripresa dipenderà dalle condizioni di contesto: Cina e paesi emergenti, Stati Uniti, la stessa Germania. La manifattura globale è debole, e con essa il commercio internazionale. Il settore dei servizi traina la crescita un po’ ovunque. Il rischio, per l’Italia, è di credere di essere “differente”, mentre è semplicemente in atto una fase di lieve recupero congiunturale dopo anni di desertificazione.
La crescita della nostra economia sarà comunque debole, come testimoniato dall’esasperante lentezza nel riassorbimento della disoccupazione, che la Commissione Ue vede ancora ad un inaccettabile 11,6% nel 2017, quando la “ripresa” sarà nel suo terzo anno consecutivo. Un dato preoccupante, per un governo che da mesi presenta riduzioni del tasso di disoccupazione di pochi decimi di punto come eventi epocali, anche quando frutto di aumento degli inattivi. La Commissione stima per il 2016 un deficit italiano più elevato dell’obiettivo tendenziale, che era all’1,8%. Anche il rapporto deficit-Pil corretto per la fase del ciclo economico aumenta nel 2016 di mezzo punto percentuale. Anche per effetto di ciò, il prossimo anno il rapporto debito-Pil scenderà di poco e nulla.
Se la crescita non avrà un’accelerazione verso (ed oltre) il 2%, tutto quello che otterremo sarà una jobless recovery, una ripresa senza effettiva creazione di occupazione, per di più fatta a deficit, proprio come ai vecchi tempi in cui abbiamo posto le basi per il nostro dissesto. La prosecuzione della grande stagnazione italiana, con un fardello di debito che resta minaccioso e pronto a presentare il conto alla prossima frenata congiunturale. A giorni sapremo se e come la Commissione chiederà modifiche alla nostra legge di Stabilità 2016. In caso negativo, sarà la conferma della svolta politica europea ma anche un potenziale errore di segno contrario rispetto alla stagione dell’austerità autolesionistica.
Scopri di più da Epistemes
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.