Inutile aspettare la rivoluzione fiscale del governo: rassegnatevi

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Il rapporto del governo Renzi con la politica fiscale continua ad essere molto problematico. La legge delega fiscale ha perso alcuni tra i suoi prezzi più pregiati, come la riforma del catasto e la nuova IRI (Imposta sul reddito imprenditoriale), mentre fuori dalla delega continua a non trovare risposte il tema delle tasse sui cosiddetti “imbullonati”, con maggiorazione di rendita catastale negli immobili industriali in cui si trovano impianti ancorati al suolo, vera e propria patrimoniale sui mezzi di produzione, e che lo stesso premier ha più volte definito “stupida”, oltre che “una cosa che non sta in cielo né in terra”, ma che continua a vedere rinviata una soluzione di decenza.

La riforma del catasto, presentata dal governo come epocale, è stata accantonata da Renzi “perché era una buona norma in teoria ma non potevo garantire gli effetti fiscali”. Spiegazione piuttosto bizzarra, che pare suggerire una robusta dose di approssimazione nella gestione di questi temi, come del resto dimostrato a inizio anno col rapidissimo dietrofront sulla riforma del regime dei minimi, che segnava una assurda proliferazione di regimi fiscali per tipologia di attività economica, penalizzando fortemente i giovani professionisti. All’esecutivo sono inoltre stati necessari sei mesi per mettere una toppa alla “inavvertita” depenalizzazione della frode fiscale, dopo l’inserimento della super-soglia del 3% che appariva una evidente obnubilazione da bagordi di fine anno, perché per considerare dolosa una cosa del genere si sarebbe dovuta presupporre l’imbecillità clinica dell’opinione pubblica.

Ma nella “grande rivoluzione fiscale” del governo Renzi le delusioni per le piccole imprese boccheggianti non sono finite. Il cronoprogramma fiscale del governo prevedeva per il mese di settembre 2014 una rivoluzione nella fiscalità delle piccole imprese in regime semplificato, con il passaggio dalla tassazione per competenza a quella per cassa. Misura che avrebbe evitato incaprettamenti fiscali dovuti a mancati incassi per ritardati pagamenti dei clienti, una vera piaga di questi iniqui tempi di crisi. Ma anche un ricorrente miraggio per i contribuenti, regolarmente rinnovato dagli inquilini che si alternano a Palazzo Chigi. A quasi un anno di distanza, anche quella “rivoluzione” è scomparsa dai radar. E con essa anche l’introduzione dell’IRI, imposta sul reddito dell’imprenditore, di cui si parla da tempo e che ha per obiettivo di favorire la capitalizzazione di società individuali e di persone, assoggettando all’aliquota Ires (tendenzialmente inferiore) la parte di utile rimasta in azienda, e tassando ad aliquota Irpef quella prelevata dall’imprenditore. Misure che avrebbero dato ossigeno “liquido” alle piccole e piccolissime imprese ma che evidentemente hanno spaventato l’esecutivo per potenziali buchi di bilancio.

Ancora una volta, la realtà si conferma il più incattivito oppositore delle narrazioni renziane.


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