di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Il cosiddetto “accordo” tra Grecia e creditori, col quale si è chiusa (almeno per il momento, e potrebbe essere un momento di poche ore) la dolorosa e spesso straniante vicenda del “salvataggio” di Atene, rappresenta l’occasione per alcune riflessioni. Quello che in prima battuta colpisce è che Tsipras ed il suo governo apparivano sinceri quando dichiaravano di non voler uscire dall’euro. Lo stesso ex ministro delle Finanze, Varoufakis, settimane addietro aveva dichiarato che le difficoltà organizzative di cambio della circolazione monetaria nazionale escludevano in radice questa opzione. Alla Grecia serviva comunque un terzo salvataggio, questa è sempre stata l’unica certezza.
Le condizioni del quale avrebbero forse potuto essere più “vantaggiose” se solo in questi mesi non si fosse avviata una dinamica distruttiva tra il governo greco ed i creditori che alla fine ha incenerito la già residuale fiducia reciproca. Col senno di poi, il referendum greco e la campagna per il no condotta dal governo Tsipras, dopo aver escluso la motivazione di uscita dalla moneta unica, possono essere letti come appello solenne al Demos, da usare come leva negoziale verso i creditori. Se le cose stanno in questi termini, si è trattato di una grave ingenuità. Perché i demos non possono essere pesati. Diciotto paesi creditori (inclusi tre che sono stati massacrati di austerità ma che hanno nel bene e nel male implementato) e la loro volontà non pesano meno di un paese debitore, anche se l’empatia e la solidarietà per un piccolo paese piegato da forze incomparabilmente più grandi di lui sorge spontanea.
Ma in questa vicenda c’è anche l’aspetto della efficacia di implementazione delle misure sinora richieste. I governi greci succedutisi in questi anni non hanno voluto o potuto procedere in direzione di una ristrutturazione dello stato (una vera e propria rifondazione) che sarebbe stata l’equivalente di una nation building. E le nation building o le fanno i popoli interessati, sulle fondamenta di una forte coesione nazionale, oppure le fanno le potenze occupanti, al termine di una guerra. E pensare ad una unione economica e monetaria come dominata da dinamiche post belliche è semplicemente assurdo, oltre che angosciante.
La Grecia, in questi anni, ha accondisceso (quasi sempre obtorto collo) a sistemazioni contabili più che strutturali, ed i creditori se le sono fatte bastare, nella quasi totalità dei casi. La peculiare struttura economica del paese, di fatto privo di un settore export, ha fatto il resto, dopo la pesante soppressione della domanda interna. Ora i creditori sono costretti, per tutelare il proprio credito, in costante lievitazione, a comprimere ulteriormente la sovranità greca, al limite della brutalizzazione e di fatto fuori dai trattati. Tale è l’entità dell’”arretrato” di riforme accumulatosi in questi lunghi e sofferti anni.
Quello che oggi appare ancor più drammaticamente evidente è che non è possibile alcuna ipotesi di uscita unilaterale dalla moneta unica. Inutile e disinformato (o forse frutto di malafede) citare “la storia” di precedenti dissoluzioni di unioni monetarie. Erano altri tempi, i flussi finanziari non erano globalizzati e soverchianti ed i sistemi di pagamento non erano così profondamente integrati a livello planetario. Pensare di portare fuori dall’euro un paese, con questa architettura finanziaria globale e questo sistema dei pagamenti, equivale a pensare di separare due gemelli siamesi uniti da una sola serie di organi vitali, e credere di poter mantenere in vita entrambi. Ma anche la “soluzione” alternativa, la dissoluzione concertata (o “controllata”, come dicono in molti non è chiaro se per ignoranza o tentativo di esorcizzare una grande paura) è semplicemente infattibile, per tempi “democratici” ed operativi, oltre che di coordinamento, dove peraltro la democraticità della decisione confliggerebbe drammaticamente con la rapidità istantanea dei mercati.
Ciò significa che l’eurozona ha confermato di avere in sé il virus della autodistruzione, e che questo virus sta diventando sempre più aggressivo e resistente alle terapie. Ora bisogna solo attendere la prossima ricaduta del paziente europeo.
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