di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Il giorno dopo il trionfale annuncio della cancellazione dell’Imu sulla prima casa, dato mercoledì dal governo in un clima surreale per il tenore di alcune dichiarazioni politiche che parevano una via di mezzo tra la vittoria al mondiale di calcio e la scoperta della pietra filosofale, il paese si è svegliato attendendo di capire a che ora è previsto il boom che ci solleverà da terra tirandoci per le stringhe delle scarpe.
Un risparmio medio di 225 euro per famiglia pare avere, agli occhi di alcuni, una tale carica di ottimismo e di inversione del sistema di aspettative sulla congiuntura che, se le cose dovessero davvero andare come previsto ad esempio da Silvio Berlusconi (“Con la riforma di oggi invertiamo la rotta su un sentiero virtuoso di crescita: il valore degli immobili aumenta, il reddito aumenta, i consumi ripartono, si creano nuovi posti di lavoro, le aspettative sul futuro tornano ad essere positive”), potremmo finire con l’ipotizzare che la crisi sia stata solo il frutto di un sortilegio scagliato contro il nostro paese dalle Forze del Disfattismo che da sempre ci impediscono di mostrare al mondo il nostro vero valore. Sfortunatamente, le cose stanno in termini differenti.
E’ innegabile che l’atteggiamento psicologico degli agenti economici abbia un ruolo, ma non tale da sovvertire una realtà fatta di dati “duri” come il persistente credit crunch bancario e condizioni del mercato del lavoro che restano prostrate. Il fatto è che in Italia sembra effettivamente esserci una ampia discrasia tra aspettative e psicologia delle famiglie e riscontri in termini di comportamenti di spesa. Ad esempio, il nostro paese si caratterizza per una costante e singolare divergenza tra gli indicatori di fiducia dei consumatori ed il successivo andamento delle vendite al dettaglio. Nel senso che, a periodi di miglioramento delle aspettative delle famiglie conseguono poi robuste delusioni in termini di consumi effettivi.
Questo fenomeno appare legato ai cicli della politica italiana, e ad annunci di mirabolanti iniziative di politica fiscale destinate invariabilmente a finire contro il muro della realtà. Anche a questo giro pare abbiamo posto le basi per rinverdire la tradizione: ieri Istat ha pubblicato il dato di agosto dell’indice di fiducia dei consumatori, che ha toccato il valore di 98,3, battendo le attese e tornando sui livelli della seconda metà del 2011. La cosa è ancora più sorprendente se si pensa che tale indice è rimasto per molti mesi a strisciare sul fondo, al valore prossimo a 85, per riprendersi dopo la formazione del governo Letta. L’indice Istat appare in miglioramento più marcato sulla componente futura rispetto a quella corrente (per la serie “ora non va molto bene, ma andrà meglio”), e più sulla valutazione del clima economico nazionale che di quello personale (“io non me la cavo ancora benissimo, ma penso che per il paese stia per andare meglio”). Come detto, questo indicatore di fiducia appare assai poco correlato con i consumi effettivi, anche considerando il fisiologico intervallo variabile che intercorre tra miglioramento del clima psicologico ed assunzione di decisioni di spesa.
E proprio queste affascinanti evidenze comportamentali applicate all’economia sembrano suggerire una diversità dei consumatori-elettori italiani rispetto a quanto ci si aspetterebbe da agenti vagamente razionali. Ad esempio, ci si attenderebbe che il frastuono che ha caratterizzato la decisione sull’Imu prima casa, trascinatosi per mesi, dovesse finire col deprimere le aspettative di consumatori normalmente avversi all’incertezza. Stesso discorso per la prossima entrata a regime della Service Tax, che al momento appare del tutto indeterminata e che rischia di risolversi in una brutta sorpresa per i contribuenti, viste le condizioni molto precarie dei conti dei comuni. Invece, il clima di fiducia dei consumatori italiani è migliorato,verosimilmente a causa del continuo condizionamento sul luminoso futuro che ci attende, in attesa di evidenze reali. Abbiamo sempre un Campo dei Miracoli che ci attende, dietro l’angolo.
La cosa non sorprende più di tanto, pensando che da un ventennio la maggioranza dell’elettorato italiano continua a credere, alternativamente, che Berlusconi sia l’uomo destinato a guidare il paese verso una luminosa era di benessere, o che schieramenti progressisti innamorati della fiscalità come strumento punitivo della intrinseca malvagità umana possano portarci verso l’era della Grande Giustizia Redistributiva. Alla fine, pare di capire che il vero problema di questo paese siano le stereotipate e disarmanti credenze politiche del suo elettorato, sempre più slegate dall’esame di realtà.
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