di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Il 26 luglio dello scorso anno, in un discorso tenuto a Londra davanti ad un consesso di banchieri, Mario Draghi ha pronunciato una frase destinata a cambiare il corso della storia dell’Eurozona, almeno per qualche tempo: “Entro il nostro mandato, la Bce è pronta a fare qualunque cosa occorra per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Da quel momento si è materializzato una sorta di ombrello protettivo a beneficio dei Paesi più deboli dell’area euro, quelli minacciati dal cosiddetto “rischio di convertibilità”, cioè di espulsione dalla moneta unica per mano dei mercati finanziari.
Senza sparare un colpo, e senza praticamente fornire dettagli operativi, l’iniziativa di Draghi ha abbattuto lo spread soprattutto per Italia e Spagna, fornendo alla speculazione il messaggio che la Bce era riuscita a slegarsi le mani. E, come noto, contro una banca centrale con le mani slegate, la speculazione è destinata a rompersi le ossa. Un anno dopo, attendendo la pronuncia della Corte costituzionale tedesca sull’iniziativa di Draghi, il campo di battaglia conferma il miglioramento delle condizioni di finanziamento per i debitori sovrani ma segnala anche un ulteriore peggioramento di quelle di accesso al credito per le imprese, soprattutto piccole e medie, e famiglie.
Questo perdurante credit crunch non è stato neppure scalfito dalla “minaccia” della Bce, mentre la depressione dell’economia sta causando un costante deterioramento del rapporto debito-Pil, al punto che si parla ormai di necessità di ristrutturare nuovamente il debito greco (ma questa volta a carico dei contribuenti europei) e quello portoghese, mentre il debito-Pil italiano è ormai giunto al 130%. Sotto l’ombrello della Bce l’economia reale continua purtroppo il proprio sgretolamento. Da qui in avanti, a meno di una vigorosa ripresa (che non avverrà), la politica europea dovrà decidere se intende realmente fare propria la frase di Draghi, per evitare una impressionante catena di default, pubblici e privati.
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