di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Dopo la fiaba dell’Imu prima casa la cui cancellazione sarebbe, secondo il Pdl, il proiettile d’argento per creare un vero e proprio miracolo italiano, trascinandoci fuori dalla peggiore crisi dai tempi della Grande Depressione, l’altra ossessione della politica italiana è il ruolo di Equitalia e più in generale il rapporto tra cittadino e fisco.
Al crescere della gravità della crisi, si è assistito ad un fenomeno di pura dissociazione della politica: da un lato, l’enfasi sulla necessità di recuperare l’evasione ad ogni costo e con ogni mezzo come via salvifica per turare i buchi di bilancio pubblico e giungere ad un improbabile Eden del welfare; dall’altra, tuttavia, l’aggressività delle procedure di riscossione ed alcuni tragici episodi di disperazione dei contribuenti hanno spinto la politica a guidare la rivolta contro il mostro (Equitalia) che la stessa politica ha creato. Il trasferimento ai comuni delle attività di riscossione dei tributi locali, previsto dalla legge, ha già scatenato la corsa elettoralistica a proteggere i poveri contribuenti, promettendo inquietanti “comitati etici” per giungere a lunghissime rateizzazioni del debito d’imposta.
E’ molto poco probabile che le cose vadano in questi termini, perché diversamente i comuni entrerebbero in crisi finanziaria da mancati incassi. Ma quelli che oggi ululano contro Equitalia e lo “stato di polizia tributaria” (il Pdl di Berlusconi e la Lega), sono gli stessi che nel 2011 si inventarono, allo scopo di turare i crescenti buchi di bilancio pubblico, gli avvisi di accertamento esecutivi già 60 giorni dopo la notifica, il famigerato principio del solve et repete. La cinica schizofrenia di una politica che annusa sondaggi produce mostri da sbattere in prima pagina, come Equitalia.
Ed il paese affonda, sotto il peso dell’incertezza del diritto, della prevaricazione burocratica e di una politica capace solo di inseguire gli umori peggiori di un elettorato che continua imperterrito a farsi vendere il Colosseo.
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