La nuova (?) minaccia iraniana: il programma nucleare

di Andrea Gilli

Il tema del programma nucleare iraniano torna alla ribalta. La scorsa settimana The Guardian rivelava presunti piani israelo-anglo-americani per un attacco sui siti sospetti. Oggi l‘IAEA presenterà un rapporto, a quanto pare, molto critico verso l’Iran per l’accelerazione del programma atomico. Nei prossimi giorni ci sarà un enorme dibattito sul tema e la tensione continuerà a salire.

Il mondo si interroga se Israele o Stati Uniti procederanno ad un attacco. La risposta è semplice: è impossibile dirlo. Nel 2005, scrissi un articolo nel quale spiegavo quanto inverosimile fosse un attacco all’Iran. L’assunto di fondo era l’inefficacia di una tale operazione. Finora ho avuto ragione. Rimango della stessa idea per quanto riguarda l’inefficacia. Non posso dirmi certo del fatto che i governi agiscano saggiamente. Il fatto che un attacco sia altamente inefficace, se non controproducente, non significa che alla fine un governo non opti per condurlo ugualmente.

Due ordini di considerazioni mi paiono importanti: politici e militari.

A livello politico, ad Obama una nuova guerra, con effetti imprevedibili su Iraq, Afghanisan, Golfo Persico, monarchie arabe, e Medio Oriente più in generale, non conviene. Al momento, la sua rielezione è in forte dubbio. Obama finora ha avuto una certa fortuna: la primavera araba non ha (ancora) portato instabilità, le tensioni in Asia non sono esplose, e in Iraq e Afghanistan non c’è stato un peggioramento della situazione. Non è detto che questa fortuna possa continuare. Va infatti considerato che – in caso di un attacco all’Iran, i prezzi del greggio schizzerebbero subito in alto, a prescindere dalle ritorsioni iraniane, provocando una recensione a livello mondiale che comprometterebbe ulteriormente le chances di rielezione di Obama.

Israele, dall’altra parte, è il grande perdente della primavera araba: l’Egitto non nemico si è mosso su toni anti-israeliani dopo la caduta di Mubarak, l’Iraq democratizzato sostiene la Siria e i Palestinesi, le stesse vicissitudini della Siria sono preoccupanti, in quanto potrebbero aprire la porta ad un regime fondamentalista a Damasco – e quindi ancora più contrapposto a Israele. In questo contesto, la minaccia iraniana si fa sentire: il ritiro americano e l’indebolimento di Egitto e Arabia Saudita hanno rafforzato ulteriormente l’influenza degli Ayatollah sulla regione. E’ dunque molto verosimile che proprio l’ascesa iraniana stia alla base delle preoccupazioni israeliane.

Il secondo ordine di considerazioni è di tipo militare. In caso di un attacco all’Iran, quali sarebbero le chances di successo e quali le ripercussioni?

A quanto pare, Israele avrebbe le capacità militari per colpire ed eliminare i siti nucleari iraniani. Avrebbe bisogno del lascia-passare e, probabilmente, del sostegno americano, ma il dato importante è che l’operazione non è impossibile. Certo, resta da stabilire come accertarsi del successo. L’Iran verosimilmente nasconderà alcune capacità chiave in modo da poter far ripartire il programma in caso di un attacco nemico, anche efficace. Per questa ragione, per esempio, sul Guardian si discuteva l’opzione (un po’ fantasiosa) di mandare delle forze speciali in Iran.

Per quanto riguarda le conseguenze, ci sono alcuni studi svolti dall’MIT a proposito. Come già ricordato, l’Iran potrebbe reagire ad un attacco colpendo le monarchie del Golfo. Per quanto riguarda le sue capacità missilistiche, sembra improbabile che l’Iran possa infliggere seri danni alle capacità di raffinazione del greggio nella zona.

Altrimenti, l’Iran potrebbe bloccare il Golfo Persico, attraverso il suo controllo dello stretto di Hormuz, dal quale passa il 50% del petrolio mediorientale. Anche in questo caso, però, l’Iran non avrebbe capacità tali da rendere un blocco così efficace e soprattutto, di mantenerlo per un periodo prolungato.

Più difficile è stimare le implicazioni di un tale attacco sugli sciiti in Medio Oriente e sulla capacità iraniana di sobillarli contro i loro regimi: in Iraq, in Afghanistan, in Arabia Saudita, in Kuwait, in Bahrain, etc.

In definitiva, se è difficile prevedere le probabilità di un attacco, le implicazioni sono un po’ più chiare. Resta da vedere se i governi israeliano e statunitense vorranno correre ugualmente questi rischi.


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