di Mario Seminerio – Libertiamo
Al forum annuale della Fed, a Jackson Hole, in Wyoming, c’era grande attesa per la relazione di Ben Bernanke, da cui mercati ed economisti attendevano lumi circa un eventuale terzo episodio dell’easing quantitivo, l’utilizzo di metodi non convenzionali di espansione monetaria. Mentre Bernanke, pur confessando che gli strumenti a maggiore impatto si trovano al di fuori del campo di azione della Fed (la politica fiscale, ad esempio) ha lasciato aperta la porta a nuove misure di stimolo monetario già dal meeting del FOMC di settembre, la vera notizia è giunta dalla relazione di Christine Lagarde, nuovo direttore generale del Fondo Monetario Internazionale.
Secondo la Lagarde, l’economia globale è entrata in una fase pericolosa, in cui la ripresa rischia di deragliare. Osservazione invero banale, ma che è stata integrata con altre due considerazioni, ben più pesanti. La prima è l’appello pressante ad azioni che promuovano la crescita:
«Le politiche macroeconomiche devono supportare la crescita. La politica monetaria dovrebbe anche rimanere altamente accomodamente, perché i rischi di recessione superano di gran lunga quelli di inflazione»
Questa è una critica, neppure troppo velata, alla Bce di Jean-Claude Trichet, che è reduce da un ciclo di restrizione monetaria che potrebbe aver giocato un ruolo nell’esplosione della crisi italiana e spagnola. Ora che il rallentamento globale appare una certezza, i mercati scommettono sulla sospensione degli aumenti di tasso da parte dell’Eurotower. Ed è peraltro utile che qualcuno si sia deciso a porre di nuovo sul tappeto il tema della crescita, in un periodo in cui i governi sembrano indaffarati a tagliare tutto il tagliabile, pensando che ciò sia sufficiente per fare ripartire l’economia, forse fuorviati dalla leggenda della “contrazione espansiva” che si sta rivelando la Caporetto intellettuale di molti economisti, soprattutto nel campo più dogmaticamente liberista.
Ma la seconda considerazione di Christine Lagarde è un vero e proprio sasso nella piccionaia delle banche europee. Per evitare di assistere ad una estensione della debolezza anche al centro del sistema, o anche ad una “debilitante crisi di liquidità”, Lagarde suggerisce immediate ed obbligatorie ricapitalizzazioni delle banche europee, considerate “fondamentali per ridurre il rischio di contagio”.
La risposta non si è fatta attendere. Il presidente della Bce ha detto che non esiste un problema di liquidità, mentre i banchieri hanno respinto sdegnosamente anche solo il sospetto che le banche possano essere sottocapitalizzate. Lesa maestà a parte, il punto del discorso della Lagarde è però un altro. E’ possibile che il direttore generale del Fmi abbia preso coscienza che i default in area euro sono ormai inevitabili e che, con la sua proposta, stia spingendo per rafforzare le banche, che sono destinate a subire impatti pesantissimi dai default? Se così fosse, ci troveremmo di fronte ad un cambio di filosofia nella gestione della crisi. Non più aiuti dal versante dei debitori, subordinati a misure di austerità ferocemente depressiva, che di fatto aumentano il rischio di contagio e di crollo per la costruzione europea, bensì aiuti dal versante dei creditori, con la formula dei “matching funds“, cioè soldi pubblici pari a quelli degli azionisti privati, per discriminare le banche sane da quelle non recuperabili. In questo senso, il ruolo del EFSF (European Financial Stabilisation Fund) diverrebbe quello di un azionista di banche private, per aiutarle ad abbattere il valore di crediti non recuperabili, e mantenerle solvibili.
Una vera rivoluzione copernicana nell’approccio alla crisi, finora gestita in modo da negare la realtà, e cioè che ci sono paesi in Eurolandia che semplicemente sono destinati al default, e che prima ci arriveranno meglio sarà per tutti. O quasi, visto che in questa circostanza le banche ed i loro azionisti rischierebbero di essere travolti o quanto meno fortemente diluiti. Il punto è che, se vi fossero state nazionalizzazioni di banche travolte da crediti ammalorati anziché semplice assunzione di quei crediti da parte del settore pubblico, con emissione di debito sovrano, l’intero sistema avrebbe enormemente limitato i danni, economici e sociali, e ridotto verosimilmente i tempi di uscita dalla crisi.
Il tempo dirà se quella della Lagarde è stata solo una frase di circostanza, pur se con il desiderio di smuovere le onde dello stagno finanziario globale, oppure un vero e proprio momento di discontinuità in questa crisi infinita.
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