Eurosalvataggio: di salasso in salasso, verso gli eurobond

di Mario Seminerio – Libertiamo

L’esito del vertice europeo di giovedì scorso, che ha promosso l’ennesimo salvataggio della Grecia, appare al contempo come una rimasticatura di vecchie ricette ed una discontinuità rispetto al passato. Vediamo perché.

La continuità rispetto al passato si coglie nella riproposizione di un nuovo pacchetto di aiuti, di dimensione comparabile (ma superiore) al precedente, ormai rivelatosi insufficiente a raggiungere gli obiettivi. Ad oggi, il totale degli aiuti erogati alla Grecia ammonta alla sconcertante cifra di 220 miliardi di euro, senza contare le perdite che finiranno finalmente in capo al settore privato. Se a ciò si sommano gli aiuti finora erogati a Portogallo ed Irlanda, quantificabili in circa 170 miliardi di euro, si ha la misura della follia che ha colpito Eurolandia.

Senza scendere troppo nelle tecnicalità, ma senza neppure troppo banalizzare, i punti di innovazione consistono nel nuovo ruolo attribuito allo European Financial Stabilisation Fund (EFSF), ed al suo successore dal 2013, European Stability Mechanism (ESM), che potranno agire anche sul mercato secondario (cioè comprare titoli esistenti), dietro placet della Banca centrale europea, che così facendo perde il pericoloso ruolo pseudo-fiscale che si era dato con l’avvio del fallimentare Securities Markets Program.

Il problema è che le munizioni dell’EFSF restano per ora invariate, cioè 440 miliardi di euro, di cui 250 miliardi effettivamente mobilizzabili, al netto cioè delle garanzie nazionali e della overcollateralization necessaria a dare al veicolo il rating massimo. Aumento di dotazione e nuove funzioni dell’EFSF dovranno passare sotto le forche caudine di ratifiche nazionali più o meno impegnative politicamente e legalmente, soprattutto in Germania. Se il fondo vedrà aumentare la propria dotazione ed ampliare il raggio d’intervento, avremo effettivamente posto le basi di un Fondo Monetario Europeo, come detto con una qualche enfasi da Nicolas Sarkozy. E’ peraltro probabile che il nuovo mandato dell’EFSF determini l’acquisto dei titoli greci oggi detenuti dalla Bce, presumibilmente al loro prezzo medio di carico, per evitare di mordere il capitale dell’Eurotower.

Altra robusta discontinuità rispetto al passato è il coinvolgimento dei privati, leggasi banche europee, pur se su base formalmente volontaria. L’intervento prevede un taglio del 21 per cento del valore attuale netto medio dei titoli greci da esse posseduti, con default selettivo per le emissioni coinvolte. Quest’ultimo, quindi, non si configura come “evento di credito” e non dovrebbe quindi determinare regolamenti di conti (in ogni senso) sui credit default swap. Tecnicamente, questo coinvolgimento prenderà la forma di un concambio di titoli o di un rinnovo a scadenza dei titoli posseduti, operazioni per le quali vi è già l’assenso delle maggiori banche internazionali, riunite sotto l’ombrello dell’International Institute of Finance (IIF). Per i titoli giunti a scadenza e per quelli immobilizzati nei banking book degli istituti di credito, e quindi iscritti a bilancio al 100 per cento del loro valore nominale, sono dunque previsti dei cosiddetti Par bond, cioè acquistati anch’essi al prezzo di 100, per evitare di realizzare minusvalenze. Per i trading book delle banche, invece, dove i titoli sono valorizzati a mercato, si utilizzeranno dei discount bond.

In quest’ultimo caso, tuttavia, le banche realizzeranno necessariamente delle minusvalenze, perché lo sconto sui nuovi titoli è in media inferiore rispetto a quello a cui gli stessi sono valutati. In questo modo, tuttavia, si genererebbero delle minusvalenze che potrebbero intaccare il capitale della banca, ed anche per questo è prevista la possibilità teorica di una iniezione di capitale da parte dell’EFSF nelle banche in difficoltà. Anche qui, belle intenzioni a vasto raggio ma dotazione di fondi del tutto insufficiente, allo stato attuale. Nei fatti, questo è un intervento in stile Brady Bond, a lunga e lunghissima scadenza, tra i 15 ed i 30 anni. Allungata la scadenza e rivisti ad un tasso non penalizzante (il 3,5 per cento) anche i prestiti finora erogati a Grecia, Irlanda e Portogallo.

Tutto bene, quindi? No, per nulla. Se è vero che la manovra acquista molto più tempo delle precedenti, facendo respirare i debitori ed i paesi potenzialmente minacciati (l’Italia nella fattispecie, visto che la manovra serve soprattutto ad evitare l’estensione a noi del contagio), è altresì vero che i conti della Grecia restano in profondo rosso, con nuove voragini che rischiano di accorciare drammaticamente il “tempo di sollievo” costruito giovedì. Inoltre, la solenne dichiarazione circa il fatto che tali manovre sono relative alla Grecia e solo ad essa, se da un lato evita attacchi speculativi immediati su altri paesi, pone in realtà le basi per i medesimi quando i conti greci confermeranno ad nauseam la loro condizione di non ritorno. Se si pensa a quanto finora speso per ottenere risultati di questo tipo, si deve prendere atto che sarebbe stato molto più a buon mercato nazionalizzare le banche coinvolte nei dissesti, in tutta Europa.

Come che sia, il percorso iniziato giovedì va nella direzione di creare un’entità sovranazionale (oggi l’EFSF, domani l’ESM) che finirà col fungere da emittente di eurobond. Sempre che il Bundestag e la corte costituzionale tedesca (o qualche altro parlamento nazionale) non dicano di no, nel qual caso avremmo un crollo della costruzione europea che ci costringerebbe a tornare precipitosamente sui nostri passi ed a continuare il cammino che porta agli eurobond.

E in Italia? Dopo i festeggiamenti e le pacche sulle spalle per il Btp sceso a “solo” il 5,25 per cento di rendimento (ben 230 punti-base sopra il Bund), dimentichi che ognuno di questi “attacchi apoplettici” lascia gli spread ad un livello maggiore del precedente e verso la insostenibilità, siamo tornati (avevamo mai smesso?) al solito chiacchiericcio ipertattico, ed alle illusioni di Berlusconi circa la capacità di governo della sua cosiddetta maggioranza. La differenza (più esiziale che essenziale) consiste nel fatto che, nel mezzo, abbiamo approvato la stretta fiscale più pesante (e perversa) dell’ultimo ventennio, che non mancherà di tradursi in minore crescita, che aprirà nuovi buchi, che richiederanno nuove manovre. Sarà molto interessante capire dove si situa il punto di non ritorno nella sopportazione dei sudditi tartassati. Lo scopriremo tra non moltissimo, probabilmente. Almeno, volesse il cielo.


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