di Mario Seminerio – Libertiamo
Il 25 novembre 2005 il governo Berlusconi approvò la riforma della previdenza complementare, che regola la destinazione del trattamento di fine rapporto (Tfr) ai fondi pensione complementari, tramite il meccanismo del silenzio-assenso in base al quale, dal primo gennaio 2007, il lavoratore dipendente deve scegliere se mantenere il Tfr nella sua forma attuale oppure destinarlo alla costruzione di una pensione integrativa, versandolo ai fondi pensione (sia di categoria che aperti).
Con la Finanziaria 2007 (governo Prodi) è stato costituito il Fondo per l’erogazione del Tfr ai lavoratori dipendenti privati, gestito dall’Inps per conto della Tesoreria dello Stato. La stessa legge stabilisce che nelle aziende con almeno 50 dipendenti, nel caso in cui il lavoratore scelga di mantenere il Tfr in azienda, il datore di lavoro debba conferire tali quote ad un apposito fondo (il cosiddetto Fondo Tesoreria) presso la Tesoreria dello Stato e gestito dall’Inps, che provvede quindi a liquidare il Tfr al dipendente alla cessazione del rapporto lavorativo.
All’origine, tale Fondo di Tesoreria poteva destinare le risorse così ottenute a spese in conto capitale, per lo sviluppo delle infrastrutture. Questa decisione del governo Prodi suscitò le vibrate proteste di Giulio Tremonti, all’epoca all’opposizione. Intervistato da Nicola Porro, Tremonti si lanciò in una durissima reprimenda dell’iniziativa prodiana:
“Primo: se è vero che il Tfr è dei lavoratori e non delle imprese allora è anche vero che come non è delle imprese non è neanche dello Stato. Secondo: quella del Tfr non è una partita di giro, ma è un partita di raggiro. Per le imprese il Tfr è al passivo. Risulta misterioso come per lo Stato possa essere all’attivo. Se per le imprese l’intensità del beneficio sarebbe limitata al differenziale sul costo del denaro (ammesso che le piccole imprese riescano a procurarselo agevolmente in banca dopo Basilea2) dovrebbe essere lo stesso parallelamente e coerentemente per lo Stato. La fiscalizzazione del Tfr è in realtà acquisizione di nuovo debito. Ogni diversa configurazione sarebbe scorretta. In ogni caso il Tfr sarebbe un’entrata una tantum. One off come dicono i tecnici”
Tornato a guidare il ministero dell’Economia, e trovatosi di fronte ad un andamento incoercibile della spesa pubblica, (ulteriormente esacerbato dalla Grande Recessione), Tremonti ha deciso di accantonare lo sdegno e di utilizzare a sua volta il tesoretto del Tfr. In uno degli articoli del maxi emendamento presentato dal governo (Berlusconi) alla legge finanziaria 2010 era infatti previsto che il Tfr giacente presso le imprese con più di 50 dipendenti, con medesima procedura prevista con la legge finanziaria del 2007, venisse utilizzato come copertura economica di circa un terzo dell’intera manovra, incluse le spese correnti.
Questa interessante prassi ha costretto la Corte dei conti ad intervenire con un ammonimento al governo, che continua a ricorrere al fondo, e non certo per finanziare grandi opere infrastrutturali. Dal 2007 al 2010 risulta infatti che il governo ha prelevato dal Fondo di Tesoreria Inps ben 15,86 miliardi di euro. Non solo il fondo è stato usato per scopi diversi da quelli previsti dalla legge, ma finora non è stata disposta alcuna reintegrazione del medesimo. La Corte dei conti è giunta a parlare di
«Una operazione di natura espropriativa senza indennizzo o comunque di prelievo fiscale indiretto nei confronti di categorie interessate a versamenti finalizzati a scopi ben diversi dal sostegno alla finanza pubblica».
E a prevedere che, con questo passo di “prelievo”, l’esposizione raddoppierà, toccando allo scadere dei dieci anni dall’introduzione del nuovo meccanismo di Tfr i 30 miliardi di euro. Dopo i rilievi della magistratura contabile, solo il Ministero dell’Interno dallo scorso anno, si è messo in regola non destinando più quote del Tfr incassato alla spesa corrente, dopo che in precedenza aveva attinto al Fondo di Tesoreria Inps per finanziare voci di spesa corrente quali oneri di ammortamento dei mutui per il risanamento degli enti dissestati, oneri per assicurare la gratuità dei libri di testo ed oneri riguardanti la spesa per i lavoratori socialmente utili dei Comuni di Napoli e Palermo e della Provincia di Napoli.
Nella relazione sull’utilizzo del Tfr da parte dell’Amministrazione statale, depositata lo scorso 2 marzo, la Corte dei conti segnala infatti che di recente è del tutto caduta anche la foglia di fico degli investimenti in conto capitale:
«A partire dal 2010, inoltre, sulla base della legislazione sopravveniente e della concreta attuazione della stessa sembra cessare l’impiego ad investimenti delle somme prelevate. Infatti, non è stato specificato alcun capitolo di spesa alimentato dal prelievo: a seguito di tale fenomeno può concludersi che il prelievo stesso diviene un’entrata indifferenziata dello Stato senza alcun vincolo di destinazione e senza l’istituzione di correlate poste passive, destinate alla reintegrazione del fondo»
Tremonti non si è scomposto: ha mandato a dire che non c’è «alcun nocumento ai soggetti interessati ai versamenti e ai prelievi» e che il meccanismo produrrà un “risanamento delle spese pubbliche” (sic) finanziando a fondo perduto non solo gli investimenti (capaci di comportare un ritorno economico) ma anche la spesa corrente, dando vita ad “un trend favorevole almeno decennale” (ri-sic). Quindi, dopo aver gridato all’esproprio nel 2006, malgrado l’impiego delle risorse a conto capitale, oggi il nuoveau philosophe di Sondrio riesce pure a rallegrarsi per la destinazione del fondo Tfr alla copertura di spesa corrente. E’ proprio vero, “la storia si è rimessa in marcia“, anche se nel nostro paese questa marcia pare aver assunto un andamento simile a quello di un ubriaco. E’ la grande ritirata del liberismo mai nato, come dimostra l’invito che il ministro ha perentoriamente rivolto al conduttore di Annozero, che criticava il “governo della libertà economica”:
«Santoro, non dica pirlate»
Parole sante. Qui di liberalizzato e liberalizzante non c’è nulla: siamo invece arrivati all’uso improprio di fondi altrui per alimentare il mostro della spesa corrente, e ce ne vantiamo pure. Altro che keynesismo. Non resta che sperare che il celebre “tribunale della storia”, quello che Tremonti invoca per i “responsabili” della globalizzazione, possa allargare le proprie competenze anche alla gestione “virtuosa” dei conti pubblici italiani degli ultimi anni.
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