di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
La Casa Bianca ed i Repubblicani hanno raggiunto un accordo per prorogare di un biennio i tagli d’imposta decisi da George W.Bush e che sarebbero scaduti a fine dicembre. Come noto, Obama intendeva rendere definitivi i tagli d’imposta solo per i contribuenti con imponibile inferiore a 250.000 dollari annui, mentre i Repubblicani avevano preso in ostaggio il rinnovo fino a 99 settimane dei sussidi di disoccupazione di emergenza.
Il compromesso prevede una estensione di altri 13 mesi per i sussidi. Obama ottiene anche la riduzione di due punti percentuali dei contributi sociali a carico dei lavoratori per un periodo di un anno. Per un lavoratore che guadagna 40.000 dollari annui, la misura determinerà un risparmio annuo di 800 dollari. Prevista anche la completa deducibilità dei beni strumentali d’azienda entro il primo biennio d’imposta. Raggiunto un compromesso anche per la estate tax, la tassa sulle successioni, che avrà aliquota al 35 per cento ed esenzione per 5 milioni di euro dell’asse ereditario. L’intera manovra determinerà un aggravio di deficit di 900 miliardi di dollari per un biennio.
Si discute circa la “capitolazione” di Obama alle richieste dei Repubblicani, poiché il pacchetto approvato risulta composto esclusivamente da tagli d’imposta. In realtà, non c’è nulla di “rivoluzionario” nelle misure adottate, che appaiono l’ennesima riproposizione di stimoli di breve termine, destinati nella migliore delle ipotesi a sottrarre domanda futura, anticipandola al prossimo anno. Non c’è nulla di realmente differente tra aumenti di spesa e riduzioni d’imposta, che non a caso nella terminologia americana si chiamano “tax expenditures”. E’ peraltro piuttosto improbabile che un taglio d’imposta temporaneo possa stimolare in modo significativo l’occupazione. L’offerta di lavoro non aumenta in risposta ad un aumento transitorio del reddito netto in busta.
In realtà, anche il taglio dei contributi sociali sulla busta paga appare funzionale alla strategia Repubblicana di “affamare la bestia”: una volta tagliata l’aliquota, infatti, si creano pressioni per evitare il ritorno allo status quo ante, che determinerebbe “un aumento del costo del lavoro”. Ma in questo caso, poiché la payroll tax finanzia la Social Security, il buco di gettito così creato finirà col portare argomenti a favore della tesi repubblicana di rivedere il pilastro previdenziale pubblico, attraverso aumento dell’età pensionabile e/o riduzione delle prestazioni. I Repubblicani si tengono accuratamente lontani da ipotesi di riforma delle voci di spesa pubblica più politicamente sensibili per il proprio elettorato, come il Medicare e la Difesa. Sintomatico, nel primo caso, il fatto che anche sedicenti conservatori fiscali come Rand Paul, figlio di Ron, che nella vita fa l’oculista, abbiano finora nicchiato su ogni ipotesi di taglio all’assistenza sanitaria, come ad esempio l’erogazione di prestazioni calibrata sul reddito degli assistiti.
La presunta azione di risanamento fiscale si incentra per contro quasi esclusivamente sulla Social Security, le cui erogazioni hanno natura redistributiva, ed il cui taglio avrebbe quindi effetti regressivi, colpendo gli strati più poveri della popolazione. Il deficit federale è destinato a crescere ulteriormente, nel prossimo biennio, con una tempistica perfetta per consentire ai Repubblicani di giungere alla campagna per le presidenziali del 2012 additando al pubblico ludibrio il presidente “socialista”. Strategie di medio termine che nulla hanno a che fare con un reale risanamento fiscale del paese.
Il fallimento di Obama appare sempre più evidente. Sfumata rapidamente l’aura messianica che lo avvolgeva, quella di presidente cool capace di dialogare con tutti e di perseguire un’agenda centrista ma anche progressiva, l’inquilino della Casa Bianca ha finito col restare vittima delle pessime condizioni dell’economia statunitense, oltre che della propaganda repubblicana che gli imputa azioni di dissipatezza fiscale che un esame più attento dei provvedimenti finora adottati non confermano. I Repubblicani si confermano “keynesiani degenerati”, con il mantra della riduzione di imposte non coperta da corrispondenti tagli di spesa. Nel mezzo l’economia americana, sempre più in declino e fiscalmente dissestata.
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