di Andrea Gilli
Il nuovo concetto strategico elaborato al Summit di Lisbona dalla NATO appare per quel che è: un tentativo mal riuscito di dare una missione ad una organizzazione che ormai non ha più ragione di essere. In altre parole, un tentativo di tenere unita con i cerotti un’organizzazione che non è più unita da alcunchè. E se qualcuno ha voluto trovare dei lati positivi nel nuovo documento rilasciato è perchè quel documento non lo ha letto, oppure non l’ha capito. Da questo punto di vista, il summit di Lisbona ricorda molto il vertice di Porto Alegre contro la globalizzazione di qualche anno fa.
Al vertice di Porto Alegre del 2003, infatti, si riunirono un po’ tutti quelli che volevano dire qualcosa ma non avevano nessuno che li stesse ad ascoltare. Seguirono interminabili dibattiti dietro allo slogan “un altro mondo è possibile”. Malgrado le buone intenzioni dei partecipanti, i leader del movimento anti-globalizzazione dovettero ammettere una sconfitta desolate: si era discusso tanto, non si era concluso alcunchè. Così, facendo di necessità virtù, gli stessi organizzatori finirono per celebrare il valore della discussione in sè. Come se discutere fosse, in sè, un successo.
Guardando i risultati del vertice di Lisbona e leggendo il nuovo Concetto Strategico della NATO, la mia impressione è che i risultati non siano molto diversi da Porto Alegre. Parole, parole, e ancora parole. Gli stessi organi della NATO non ne fanno mistero: non si è raggiunto alcunchè – ammettono – ma questo in fin dei conti era l’obiettivo. Ciò che importa – aggiungono – è che la discussione sia stata pubblica, aperta, trasparente, e democratica. Chissà, magari al prossimo giro di boa apriranno il dibattito sule dottrine militari, counter-insurgency e dispiegamento di testate nucleari alla “società civile”…
Il punto rimane uno: il nuovo concetto strategico dà un’ulteriore conferma del senso di smarrimento che circola ormai nei corridoi dell’alleanza atlantica. Gli ultimi 11 anni sono stati parecchio movimentati per la NATO: due guerre (Kosovo e Afghanistan), l’allargamento a Est, lo scudo-missilistico, e poi ancora dibattiti su transformation, energy security, cybersecurity. Poi si guarda il nuovo concetto strategico – da tutti atteso come il Nuovo Testamento (almeno dentro l’Alleanza) e il prodotto sembra un annex al documento strategico precedente.
Nell’ultimo concetto strategico, la retorica la fa da padrone. Addirittura, ogni paragrafo è imbevuto di una retorica al limite del sopportabile, se non altro perchè ricorda quei temi di quinta elementare di bambini costretti a scrivere su argomenti che non conoscono. La maggior parte dei paragrafi si limita a descrivere la situazione, di propositivo c’è davvero poco. E quel poco riguarda capitoli non solo secondari ma sui quali si lavora già da diversi anni, se non addirittura dal 2001.
Si parla per esempio di cybersecurity. Al di là della portata assolutamente secondaria del tema, l’Alleanza già collabora – in maniera minima – sul tema dal 2006. Si parla di energy security: l’Alleanza ne parla dalla fine della Guerra fredda, senza ovviamente aver mai raggiunto nulla. Si discute di crisis-management: oltre alle parole di sorta, non c’è nulla di più, senza contare che la NATO se ne occupa da quando è andata nei Balcani a metà degli anni Novanta.
Ci sono riferimenti vaghi e vacui ad un’altra serie di capitoli. Pur sforzandomi, non ho trovato un elemento di novità o rinnovamento. Il dato più significativo mi pare essere la proposta (oramai vecchia di diversi anni) di coinvolgere la Russia nel progetto di scudo missilistico. La stessa Russia che nel 2008 lanciò una guerra contro la Georgia, il Paese a cui si voleva proporre la membership pochi mesi prima.
Il dato mi pare tratto: quando un’organizzazione internazionale produce risultati tanto deludenti (credo fino l’ONU riesca a fare meglio), la ragione è presto detta. I suoi membri sono divisi da profonde divergenze che rendono impossibile la definizione di obiettivi e strategie comuni.
D’altronde, le alleanze si formano quando ci sono interessi comuni. Il mondo sta cambiando, e non è per nulla scontato che gli interessi dell’Europa coincidano con quelli USA in futuro: di ciò ne sono consci sia gli americani che gli Europei.
Quale futuro per la NATO, dunque? Credo si andrà sempre di più verso una loose alliance. Una sorta di OSCE o qualcosa del genere, che fornisce qualche servizio comune, svolge alcune funzioni, ma che alla fine conta sempre di meno nelle politiche di difesa dei Paesi membri.
2 risposte a “Il summit NATO: sperando che i cerotti tengano…”
Dottor Gilli,
ho molto apprezzato l’articolo ma non ho capito un punto: perchè afferma che la cybersecurity è un tema con portata assolutamente secondaria?
Oggi gran parte dell’infrastruttura economica e sociale si appoggia su prodotti/processi informatici; addirittura nelle aziende italiane c’è una grande richiesta non soddisfatta di specialisti nella sicurezza IT ed anche la rivista “Theorema” (num 3). Un attacco ad una struttura informatica (o che si basa sull’informatica) è meno invasivo, “rumoroso” e probabilmente meno oneroso economicamente di un un attacco con risorse non informatiche (http://attivissimo.blogspot.com/2010/09/stuxnet-e-un-virus-militare-contro.html).
Mi può chiarire il Suo pensiero, cortesemente?
Saluti
Lessi ad esempio sul blgo del giornalista Paolo Attivissimo che gli israeliani sono riusciti ad inficiare macchinari industriali iraniani tramite virus informatici . Perchè dovrebbe essere un approccio da non valutare attentamente?
Saluti
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Le minacce cybernetiche mi sembrano simili al terrorismo. Possono fare danni, creare momenti di caos ed eventualmente anche indebolire un Paese. Ma mi sembrano lungi dal poter portare al declino un Paese moderno. La tecnologia informatica procede parallelamente nella domanda e nell’offerta: è equivalente alla cavalleria. E’ davvero difficile che una delle due parti accumuli un vantaggio tale da mettere k.o. l’avversario. E se c’è questa possibilità, è verosimile che il vantaggio sia tutto americano.
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