di Mauro Gilli
Negli ultimi mesi, il dibattito politico è stato scosso da vibranti polemiche sul centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. Il tema ha visto coinvolti addirittura i giocatori della nazionale di calcio – che, almeno in questo campo, hanno mostrato maggiore intelligenza di numerosi politici (un fatto che esprime in modo abbastanza chiaro quanto penosa sia la classe politica italiana). Sfortunatamente, non è solo la Lega Nord a sollevare dubbi e perplessità sul processo di unificazione portato avanti da Cavour e Garibaldi. Sul social network Facebook, ad esempio, esistono numerosi gruppi che, con motivazioni diverse, condannano gli obiettivi e il risultato ultimo del Risorgimento. Si va da quelli che, con un neanche tanto vago rimpianto del regime borbonico, accusano il Piemonte di aver sottomesso il Sud e di averlo privato delle sue ricchezze; vi sono poi quelli che vorrebbero liberare la Padania dal giogo romano; infine, alcuni romantici anarco-capitalisti si dichiarano contro lo Stato Italiano in quanto Stato. In questo articolo spiegherò come mai queste posizioni non hanno senso. Più precisamente illustrerò come esse si basino su una logica “controfattuale” viziata, non oggettiva e astorica.
La questione è semplice: molti cittadini si sentono defraudati dallo Stato Italiano. Non è difficile capirne le ragioni. Il livello di tassazione nel nostro paese è alto; come contropartita, i cittadini ricevono pochi servizi, per lo più di scarsa qualità. Le risorse statali non vengono infatti usate per servire i cittadini, bensì gli interessi delle varie caste che popolano l’Italia (giornalisti, dipendenti Alitalia, amministratori pubblici, etc.). Se le remore contro la macchina statale sono più che legittime, trovare nell’unità d’Italia la causa originaria di questi problemi è però sbagliato. Verosimilmente, problemi simili, se non addirittura peggiori a quelli a cui assistiamo quotidianamente sarebbero emersi anche senza l’unificazione, e molti dei benefici che essa ha regalato sarebbero stati molto più difficili da raggiungere. In altre parole, queste critiche si basano su una analisi storica logicamente errata. Le comparazioni vanno fatte rispetto agli altri scenari possibili, non rispetto a contesti immaginari o ideali.
Rispetto agli scenari possibili alternativi all’Unità, emergono almeno tre sviluppi che, senza l’unificazione, sarebbero stati molto difficili, se non addirittura impossibili da raggiungere: la sicurezza territoriale, il processo di democratizzazione e il processo di industrializzazione.
Sicurezza territoriale
Il primo aspetto che molti sembrano dimenticare quando si parla dello Stato Italiano è che questo pose definitivamene fine, dopo 363 anni, alle invasioni straniere sul territorio italiano (iniziate quando Ludovico il Moro invitò Francesco II ad intervenire a Milano nel 1498). Non è necessario essere acuti analisti per cogliere quale sia l’effetto dell’arrivo di eserciti stranieri sullo sviluppo politico ed economico di un dato territorio. Basta prendere come esempio alcuni Stati africani come il Congo: le zone di confine, soggette a continue incursioni delle forze armate (ufficiali o ribelli) di Ruanda, Uganda e Burundi sono significativamente più povere delle altre. Gli eserciti sono infatti molto propensi a saccheggi, arbitrario uso della legge, e violenze di vario tipo. In altre parole, distruggono sia il capitale umano che il capitale fisico.
Con la nascita dello Stato Italiano e la fine dell’ingerenza della Grandi Potenze europee (Francia, Austria e Spagna) sul nostro paese, i cittadini italiani poterono finalmente godere del bene pubblico più importante per lo sviluppo economico, politico e sociale: la sicurezza territoriale. Senza la sicurezza territoriale, il rischio di espropriazioni o distruzione limiterà il livello di investimenti, così dunque ogni prospettiva di crescita economica, di democrazia, e di sviluppo.
Processo di democratizzazione
Il secondo beneficio portato dall’unificazione italiana è stato il processo di democratizzazione. Otto von Hintze aveva spiegato molto tempo fa come la minaccia straniera impedisca lo sviluppo di istituzioni democratiche. Diventando uno Stato nazionale, membro a pieno titolo del sistema internazionale, l’Italia non dovette più vivere sotto la spada di Damocle rappresentata dai suoi vicini, militarmente ed economicamente molto più forti. Da questo punto di vista, dunque, una condizione necessaria per la democrazia fu garantita.
Vi è un secondo aspetto, non meno importante che molti cittadini veneti e lombardi devono aver rimosso dalla memoria: 160 anni fa, le loro regioni non erano splendenti esempi di democrazia e benessere. Erano territori soggetti ad una dura repressione per mano austriaca (la storia di Silvio Pellico e della prigione dello Spielberg dovrebbe fornire un esempio sufficientemente chiaro). Lo stesso è vero per i territori sotto il controllo borbonico (con buona pace di chi, probabilmente senza avere il senso del ridicolo, rivendica quel regno).
Con tutti i suoi difetti, il Regno d’Italia pose le basi per la futura espansione degli istituti democratici. Il Regno d’Italia non può certamente essere paragonato ad una democrazia moderna. A differenza dell’Impero Austriaco, del regno Borbonico e dello Stato Pontificio (e dei vari staterelli sotto la loro influenza), esso era però di lunga quello più democratico e liberale sulla penisola italiana. Questa forma di democrazia, per quanto embrionale, diede luogo nei successivi decenni all’allargamento del suffragio, fino a quella che oggi viene chiamata “l’Italia liberale”.
Processo di industrializzazione
Vi è infine da considerare il processo di industrializzazione. Con buona pace degli amici anarco-capitalisti, il processo di industrializzazione italiano fu non solo favorito, ma fu anche reso possibile dalla creazione di un mercato interno sufficientemente grande. L’Italia appartiene ai cosìddetti paesi di seconda industrializzazione come gli Stati Uniti e la Germania (a differenza di Inghilterra e Belgio, per esempio). La seconda rivoluzione industriale, quella che prese piede intorno al 1860-1870, non si basava su piccoli artigiani che usavano il telaio, ma su alti investimenti nei settori metallurgico e siderurgico. A tal fine, un vasto mercato nazionale, adeguatamente protetto dalla concorrenza straniera al fine di permettere lo sviluppo dell’”industria nascente” era assolutamente necessario. Ebbene, oltre alla sicurezza territoriale, senza la creazione di una rete ferroviaria nazionale, l’omogeneizzazione della lingua, delle unità di misura, e la creazione di una moneta nazionale, tutto ciò sarebbe stato assai difficile, se non addirittura impossibile.
Conclusioni
Non è possibile dire come si troverebbero oggi gli italiani se non ci fosse stata l’Unità d’Italia. Soprattutto se si considerano gli eventi a livell geopolitico che hanno cambiato il corso del ventesimo secolo (fascismo, nazismo e comunismo prima; la seconda guerra mondiale poi; e, infine, la Guerra Fredda). Verosimilmene, però, molti italiani non starebbero meglio. Per fare un’analisi corretta bisogna considerare i sentieri alternativi che i territori che oggi compongono l’Italia avrebbero intrapreso se non ci fosse stata l’unità. Il corso della storia dipende infatti dagli eventi precedenti.
Senza il processo di unificazione, l’Italia sarebbe rimasta divisa in una miriade di staterelli sotto l’influenza più o meno diretta di Austria-Ungheria (fino almeno al 1919), Papato e Sapagna. Dopo le guerre mondiali, alcuni di questi territori sarebbero verosimilmente stati incorporati da alcuni vicini (l’Austria e la Jugoslavia titina, per esempio). Rispetto alle deprivazioni del regime Jugoslavo, o discorsi di oggi su Roma Ladrona sarebbero una barzelletta. Altri, avrebbero ottenuto l’indipendenza, ma data la particolare natura della divisione tra Est e Ovest durante la Guerra Fredda, è tutt’altro che scontato quali sorti sarebbero loro toccate.
In modo analogo, senza l’Unità, alcune regioni del sud Italia sarebbero verosimilmente diventate una sorta di Stato-Mafia, simili al Kosovo o a quella che a lungo è stata l’Albania, con buona pace di chi convince di un passato stupendo distrutto dalle truppe sabaude. Infine, il triangolo produttivo del Nord-Ovest non sarebbe diventato quello che è stato ed è tutt’ora: senza la manodopera meridionale e il mercato italiano, lo sviluppo industriale di quest’area sarebbe stato più contenuto e ridardato nel tempo.
Ovviamente queste sono solamente speculazioni. In questo articolo ho però illustrato tre sviluppi (sicurezza territoriale, processo di democratizzazione e processo di industrializzazione) che, senza l’Unità sarebbero stati molto più difficili da ottenere, e, verosimilmente, sarebbero stati raggiunti molto, molto più tardi. Chi condanna l’Unità d’Italia dà questi traguardi per scontati, dimostrando così di avere una scarsa conoscenza della storia, e poca familiarità con la logica.
13 risposte a “Unità d’Italia: alcune riflessioni”
Sì, infatti. A parte la completa a-storicità dell’impianto di critica degli anti-unitari (la storia non si fa con i sè, e se un avvenimento è avvenuto vuol dire che le condizioni per cui doveva avvenire lo hanno reso in qualche modo necessario), si dimentica sempre che senza l’Unità d’Italia saremmo restati un assieme di staterelli del Terzo Mondo, e che i Savoia e gli uomini che si portarono dietro e promossero a ruoli di governo, per quanto non rappresentassero certo l’eccellenza in fatto di apertura mentale, erano parecchie spanne sopra ai loro equivalenti borbonici o papalini, per esempio.
Solo un piccolo rilievo storico: dire che saremmo rimasti fino al 1919 sotto l’influenza dell’Austra è più che corretto, ma la Spagna la toglierei. Distaccata dal ramo principale degli Asburgo e dall’impero, ormai non contava internazionalmente quasi nulla.
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Galatea, secondo me quello che ci ha trattenuto (e ci trattiene ancora) dall’essere un paese del ‘terzo mondo’ o una sorta di repubblica delle banane non è tanto l’unificazione in sé quanto l’integrazione europea.
Quanto all’articolo, è singolare che critichi i controfattuali ma li usi allo stesso tempo. Qui bisogna che ci mettiamo d’accordo: o ‘[n]on è possibile dire come si troverebbero oggi gli italiani se non ci fosse stata l’Unità d’Italia’, oppure ‘[v]erosimilmene…molti italiani non starebbero meglio’.
Probabilmente lo sviluppo delle due parti del paese (nord e sud) avrebbe, senza l’unificazione, seguito due traiettorie totalmente diverse, con il primo ricco e democratico e il secondo povero e corrotto (il che suona familiare anche con l’unificazione…). Ma chi lo sa? Come dice Galatea la storia non si fa con i se e con i ma.
Poi mi ha fatto un po’ sorridere la storia degli stati-mafia: come se la Sicilia e la Calabria adesso fossero regioni dalle amministrazioni cristalline…
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“In modo analogo, senza l’Unità, alcune regioni del sud Italia sarebbero verosimilmente diventate una sorta di Stato-Mafia, simili al Kosovo o a quella che a lungo è stata l’Albania, con buona pace di chi convince di un passato stupendo distrutto dalle truppe sabaude.”
Mi sembra un’ipotesi non sufficientemente dimostrata. Il Regno delle Due Sicilie era esistito per alcuni secoli senza per questo diventare uno Stato-Mafia e non si vede perchè sarebbe dovuto diventarlo dalla seconda metà del XIX secolo. Magari sarebbe diventato uno stato economicamente meno dinamico, e si sarebbe risparmiato la prima, e magari anche la seconda guerra mondiale.
(NB. chi scrive non è un nostalgico dei Borboni)
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Per Nicolò M. Nell’articolo non ho criticato i controfattuali. Ho criticato l’uso distorto dell’analisi controfattuale. Il paragrafo successivo a quello che lei riporta inizia con questa frase: “Ovviamente queste sono solamente speculazioni.” Gli esempi che ho fatto (in merito anche al commento di Massimo) servono solo a mettere in dubbio la tesi secondo cui senza l’Unitò si starebbe meglio. Questo era l’obiettivo dell’articolo.
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La logica è tale ed il post è logico.
Aggiungo solo che sono cominciati studi storici per dettagliare con maggior precisione l’operato dei battaglioni piemontese nei primi tempi dell’unificazione Senza polemica alcuna ma con interesse per l’approfondimento dello studio, bisognarebbe elimare un pò della troppa agiografia che ancora ricopre quegli eventi.
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[…] Taggato con:attualità, politica. Lascia un commento Mio commento a questo interessante post di Mauro Gilli su Epistemes (al filtro anti-spam non piace la mia connessione, quindi lo riporto […]
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[…] Sono incappato in questo post di Epistemes, che ho trovato interessante; non completamente covincente ma sicuramente […]
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Ritengo non corretto affermare che l’unificazione italiana pose definitivamene fine, dopo 363 anni, alle invasioni straniere sul territorio italiano.
L’epoca delle invasioni e’ durata relativamente poco, ed e’ stata seguita da una dominazione spagnola seguita da una dominazione austriaca, in parte diretta in parte come sfera di influenza. In particolare sotto la dominazione austriaca, nettamente piu’ efficiente e onesta di quella spagnola, la Lombardia aveva raggiunto un grande sviluppo economico. Inoltre fin dall’assestamento della dominazione spagnola non mi sembra che l’Italia abbia subito alcuna invasione in eccesso a quelle subite da Stati piu’ o meno indipendenti del tempo, come Olanda, Baviera o Prussia. E le invasioni subite dopo l’unificazione italiana da Stati piu’ piccoli come Beglio e Olanda non hanno lasciato traccia nel loro sviluppo economico e democratico, certamente superiore a quello italiano.
In conclusione, non vedo vantaggio comparato dell’unificazione italiana per quanto riguarda sia l’occorrenza delle invasioni, sia l’eventuale effetto negativo nel progresso economico e democratico.
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Alberto,
ammetto che usando il termine “invasioni straniere” sono stato un po’ troppo sbrigativo, ma dall’articolo dovrebbe emergere che intendevo invasioni e intromissioni straniere (come ad esempio, quelle successive ai moti del 1820-21 e 1830-31) (su questo tornerò più tardi).
Per quanto riguarda lo sviluppo economico sotto il regime austriaco, quanto dici è vero, ma è vero solo fino a quanto non è iniziata l’era dei nazionalismi. Dal 1815 al 1848 il regime austriaco divenne molto più brutale, e certamente non favorì alcun progresso. E’ con questo contesto che bisogna fare le comparazioni. Poichè il nazionalismo non è eliminabile facilmente, viene difficile pensare che se il regime austriaco fosse continuato, la Lombardia avrebbe osservato una crescita culturale, sociale, economica e democratica superiore a quella che si è manifestata sotto il regno sabaudo. Questo era il punto centrale del mio argomento, ma forse non sono stato sufficientemente chiaro.
Per quanto riguarda poi il caso di Olanda e Belgio, la loro esperienza è talmente unica che trarne delle generalizzazioni mi sembra assai difficile. Con la seconda guerra mondiale, per la prima volta nella storia un paese vincitore non ha raziato i territori conquistati ma li ha inondati di aiuti economici. Non c’è da stupirsi dunque se la loro crescita economica è stata prodigiosa nell’immediato dopoguerra.
Ma vi è un altro aspetto, forse ancora più importante. Ho sbagliato nel non averlo specificato in modo più preciso nell’articolo, ma non volevo rendere l’articolo ulteriormente più pesante e lungo. Gli effetti delle invasioni e interferenze straniere non sono solo quelli immediati (distruzione di capitale fisico e umano), ma anche quelli sulle aspettative degli individui.
Secondo Hintze, la democrazia ha bisogno di sicurezza territoriale. Lo stesso è vero per la crescita economica. Se gli abitanti di una determinata regione sono in continuo stato di allerta, è chiaro che le loro risorse (tempo e risorse materiali) verranno usate non per arricchirsi, ma per difendersi o proteggersi.
quelle subite da Stati piu’ o meno indipendenti del tempo, come Olanda, Baviera o Prussia. E le invasioni subite dopo l’unificazione italiana da Stati piu’ piccoli come Beglio e Olanda non hanno lasciato traccia nel loro sviluppo economico e democratico, certamente superiore a quello italiano.
In conclusione, non vedo vantaggio comparato dell’unificazione italiana per quanto riguarda sia l’occorrenza delle invasioni, sia l’eventuale effetto negativo nel progresso economico e democratico.
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Non mi sembra che si possa affermare che l’omogeneita’ linguistica sia condizione essenziale o anche solo importante per lo sviluppo economico e industriale. Il Belgio storicamente si e’ industrializzato prima di ogni altro Paese eccetto l’Inghilterra, pur mantenendo a livello di massa una rilevante differenziazione linguistica, ben presente e vigorosa ancora oggi.
Stesso discorso si puo’ fare per la Svizzera, che ha avuto uno sviluppo industriale qualitativamente migliore di quello italiano senza problemi dovuti alla sua differenziazione linguistica interna. Regioni ampie come Lombardia, Piemonte, Veneto o Toscana, all’interno delle quali c’era fra l’altro comprensione linguistica anche a livello di massa, sarebbero state del tutto sufficienti ad assicurare uno sviluppo industriale di elevata qualita’ come hanno fatto Svizzera, Belgio, Olanda, Svezia.
L’efficacia dello Stato nazionale italiano nel promuovere l’omogeneita’ linguistica e’ stata poi molto scarsa, le masse sono state persistentemente legate agli idiomi regionali e funzionalmente analfabete in italiano fino ai tempi recenti della televisione di massa. Non si puo’ pertanto nemmeno mettere in relazione l’industrializzazione italiana di fine ‘800 con una omogeneita’ linguistica promossa o imposta dallo Stato unitario, che non c’era. D’altro canto le elites dell’Italia erano capaci di dialogare in Italiano (o ancora piu’ in francese, specie nell’Italia del Nord) indipendentemente dall’esistenza dello Stato italiano.
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Alberto,
spiegami il tuo modus operandi: fai una critica, io la smonto, e allora tu cerchi un altro appiglio? Nel tuo primo commento l’omogenizzazione linguistica non appariva; ora sembra il punto centrale del dibattito tra di noi… mah.
Comunque, mi ripeto: lo Stato unitario era necessario per garantire la sicurezza territoriale. Questo – mi sa che ti è sfuggito – è ciò che accomuna tutti gli stati. Senza sicurezza territoriale, non hai nè sviluppo nè democrazia. Possiamo essere d’accordo, oppure no?
La lingua… certo che non è da sola la condizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo economico. Ma chi lo ha mai detto? E’ però importante, congiuntamente ad altri fattori, a creare un mercato domestico. Citi l’esempio del Belgio: ma appunto, il Belgio si è industrializzato in un contesto economico internazionale diverso da quello italiano: non aveva bisogno di un mercato nazionale per favorire l’industria.
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Caro Mauro,
faccio una replica unica si tuoi due commenti.
Personalmente ho una posizione alquanto critica sul rapporto tra costi e benefici dell’unificazione italiana, sia nel presente sia dal 1861 ad oggi. Ho fatto due repliche separate non per passare da un argomento all’altro ma perche’ avevo poco tempo disponibile in due momenti diversi, inoltre omogeneita’ linguistica e sicurezza territoriale sono argomenti separati che e’ possibile e forse anche utile discutere separatamente. Ritengo anche che tu non abbia smontato la mia prima critica anche se hai risposto adeguatamente.
L’unificazione italiana ha fatto bene? Personalmente ritengo sia stato un fatto positivo non tanto l’unificazione dell’Italia ma il raggiungimento dell’ indipendenza dalla dominazione e dall’influenza austriaca.
La dominazione diretta austriaca riguardava principalmente la Lombardia e dopo Campoformio il Veneto, il resto degli Stati italiani, eccetto il Piemonte specie dopo Napoleone, erano parte della sfera di influenza o della politica dinastica asburgica. Gli austriaci governavano bene, erano migliori (piu’ onesti ed efficienti) delle elites italiane e cio’ era percepito dalle masse che non a caso applaudivano Radetzky contro i nobili locali. E’ anche vero che dopo il 1815 le prospettive di associare italiani (e slavi) all’impero con una posizione paritaria come in passato gli ungheresi sono cadute per scelta degli Asburgo. La Lombardia e il Veneto continuavano ad essere amministrati bene ma l’Impero utilizzava le loro tasse e i loro giovani per il servizio militare secondo una logica che privilegiava l’Impero.
L’indipendenza era un’aspirazione legittima e utile, nonostante i pericoli per la peggiore qualita’ delle elites italiane locali rispetto ai governatori austriaci: avrebbe consentito di impiegare internamente le risorse della tassazione in misura superiore.
Cio’ che ha reso complessivamente negativo il passaggio e’ stata l’unificazione integrale dell’Italia, e il seguente trasferimento del centro politico a Roma. Questo puo’ essere verificato quantitativamente notando l’aumento di tassazione in Lombardia e in generale nel Nord Italia rispetto al periodo austriaco, come testimoniato anche dagli interventi in Parlamento di molti deputati lombardi e in generale del Nord.
Dopo l’unificazione italiana, la conseguente politica di potenza e la massiccia evasione fiscale del Lazio e del Sud (favorita dall’assenza di un decente Catasto analitico, che i baroni locali osteggeranno fino al 1956…) i contribuenti lombardi e settentrionali si sono trovati a finanziare invece dell’onesta ed efficiente amministrazione austriaca la corrotta, disonesta e inefficiente Casta italiana di allora, simile a quella odierna. Dai tempi successivi all’unificazione inizia la pratica dei governi centrali diretta a comperare il consenso elettorale con i prefetti e con la spesa nel Sud. Queste pratiche sono state denunciate per fare due nomi da Salvemini e ancora prima da Turati nel 1889, e sono strettamente associate con l’unificazione.
L’eccessiva tassazione delle aree produttive causata dalla corruzione ed inefficienza del centro politico e’ stata anche la causa della politica economica protezionistica del Regno d’Italia, incentrata sui dazi sul grano e sulla guerra delle tariffe con la Francia che – assieme alla politica di sussidi statali – ha posto le basi per la creazione di una grande industria italiana assistita e non competitiva, peso che ci trasciniamo ancora oggi. Se non esistesse una piccola e media industria che per fortuna o per caso si e’ sviluppata al di fuori dell’azione dei centro politico italiano, l’industrializzazione italiana sarebbe fallita e tutta l’Italia sarebbe nelle condizioni di Arese e Pomigliano.
L’Europa invece abbonda di piccoli Stati (come Svizzera, Belgio, Olanda, Svezia) che hanno avuto uno sviluppo industriale ed economico di migliore qualita’ di quello italiano, con una tassazione delle aree produttive ed uno sfruttamento delle masse inferiore a quello italiano (non credo esistano paralleli alla tassa sul macinato e alla repressione cruenta di Bava Beccaris).
La Svizzera in particolare mostra l’esempio di uno Stato piccolo, con un potere centrale debole, senza risorse naturali, linguisticamente diversificato, sicuramente povero ad inizio ‘800, che e’ diventato uno stato ricco, con industrie moderne e di qualita’, senza bisogno di fare una politica economica protezionista e creare grandi industrie locali assistite.
In conclusione ritengo sia utile fare una distinzione tra il processo di indipendenza dalla dominazione/ influenza austriaca che va considerato storicamente positivo, e l’associato processo di unificazione che e’ un fatto non necessariamente associato e distinto e ha condotto all’Italia inefficiente, centralista e disomogenea del passato e di oggi. Ritengo avrebbe portato molto piu’ beneficio ai residenti della Penisola l’assenza di unificazione e la formazione di Stati indipendenti, eventualmente federati, che tuttavia avessero mantenute distinte aree economicamente troppo diverse come Lazio, Sud e Centro-Nord.
L’evoluzione del reddito pro-capite del Sud Italia specie nei decenni dal secondo dopoguerra rispetto alle aree comparabili di Irlanda, Portogallo e Grecia conferma che la disfunzionalita’ dell’Italia unita riguarda anche le condizioni economiche delle regioni storicamente meno progredite, che se confrontate con altri piccoli Stati indipendenti mostrano uno sviluppo inferiore e di peggiore qualita’.
Questo ultimo confronto, assieme a quelli con Svizzera, Belgio, Olanda e Svezia mi porta a concludere che l’unificazione italiana ha comportato costi superiori ai benefici nel confronto storico con altre realta’ europee.
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