I conti dell’Istat confermano che l’Italia è un paese a rischio

di Mario Seminerio – Libertiamo

Istat ha pubblicato ieri le statistiche su conti ed aggregati economici delle amministrazioni pubbliche riferiti al 2009. Si tratta di dati che si prestano a letture di segno opposto. Tentiamo di sbrogliare la matassa.

In primo luogo, nel 2009 la spesa pubblica complessiva, calcolata al netto della produzione dei servizi vendibili e al lordo degli ammortamenti, ha registrato una crescita del 3,1 per cento, evidenziando una decelerazione rispetto al 2008 (+3,6 per cento). La sua incidenza sul Pil è però aumentata, passando dal 49,4 per cento nel 2008 al 52,5 per cento. Nel confronto con gli altri paesi europei, la spesa complessiva dell’Italia in rapporto al Pil, al lordo delle vendite di beni e servizi e al netto degli ammortamenti, è stata più alta di 1,3 punti percentuali rispetto alla media dei sedici paesi dell’area dell’euro e di 1,2 punti percentuali rispetto alla media complessiva dei paesi dell’Ue.

Vediamo quindi che l’incidenza sul Pil della spesa pubblica italiana aumenta, pur in presenza di una modesta decelerazione della sua dinamica. Il riflesso condizionato di governo e maggioranza, di fronte alle critiche dell’opposizione, è quello di affermare che ciò è accaduto “perché è il Pil che si è contratto”. E’ vero, ed è confortante vedere che si comincia ad ammettere quello che tutti sanno: cioè che nel 2009 il Pil italiano si è letteralmente schiantato, con buona pace dei panglossiani sostenitori della fantasiosa sovraperformance dell’economia italiana rispetto all’universo-mondo. Basta dare un’occhiata al saldo primario, cioè la differenza tra spese al netto degli interessi ed entrate, tornato negativo nel 2009, per la prima volta dal 1991.

Di rilievo anche il fatto che il costo del personale pubblico, nel biennio 2008-2009, appare sotto controllo, con una crescita reale prossima allo zero; per contro, continua la corsa della spesa sanitaria convenzionata, voce principale delle prestazioni sociali in natura, classificate entro i consumi intermedi della P.A., circostanza che conferma ad abundantiam la presenza di incentivi perversi nei protocolli sanitari e nei sistemi di rimborso, soprattutto in alcune regioni. E prosegue anche il trend di robusta espansione delle prestazioni sociali in denaro, giunte ormai al 36 per cento delle spese totali. Significativa, entro quest’ultime, la crescita degli esborsi da ammortizzatori sociali, quali sussidi di disoccupazione, cassa integrazione ed interventi a favore degli strati sociali più disagiati, compiuti attraverso il bonus straordinario per famiglie a basso reddito. Il nostro sistema di ammortizzatori sociali è quindi stato effettivamente attivato, anche se ora non sappiamo come uscirne, visto che il ricorso alla cassa integrazione continua senza soluzione di continuità, spesso mascherando situazioni di crisi aziendali irreversibili. Durante una crisi, soprattutto di questa profondità, l’espansione di queste voci di spesa è fisiologica.

Potrà sembrare incredibile, ma nel 2009 i conti pubblici italiani hanno persino beneficiato di un tesoretto, il vistoso calo della spesa per interessi, frutto del crollo dei tassi sui mercati internazionali. Circostanza che ha liberato qualcosa come 10 miliardi di euro. Osservando l’andamento dei tassi richiesti dai mercati sul debito sovrano dei paesi del Club Med, appare piuttosto improbabile che questa bonanza si ripeta quest’anno. Anzi, scommetteremmo sulla restituzione integrale del tesoretto, con interessi.

Altra perla si rinviene nelle spese in conto capitale, segnatamente negli investimenti fissi lordi, cresciuti di ben il 7 per cento sull’anno precedente. Su tale voce ha peraltro influito il riacquisto da parte degli enti di previdenza, per circa 900 milioni di euro, degli immobili invenduti, oggetto in precedenza dell’operazione di cessione mediante cartolarizzazione. La realtà si è vendicata della contabilità creativa, vien fatto di dire.

Dal versante delle entrate aumenta la pressione fiscale, ma in misura determinante ciò è il frutto delle entrate straordinarie legate allo scudo fiscale ed a versamenti non ricorrenti, come l’imposta sostitutiva versata soprattutto dalle banche. Non è aumentata la pressione tributaria ma resta il rischio che, per evitare di alzare le aliquote dell’imposta sui redditi, anche in futuro la tentazione di ricorrere a condoni di varia natura resti forte, con buona pace del mitologico Legal Standard che inseguiamo da anni.

Tirando le somme, si conferma la condizione strutturalmente fragile dei conti pubblici italiani. La maggiore vulnerabilità è quella dal versante della componente di spesa riconducibile agli interessi, dove il trend di riduzione dei tassi si è invertito, ad esprimere il maggior rischio sovrano, mettendo quindi a serio rischio la tenuta della finanza pubblica italiana. Quando la crescita è inferiore al costo del debito, quest’ultimo si autoalimenta. Questo rischia di essere esattamente il destino italiano. Siamo e restiamo un paese borderline, perché non abbiamo mai risanato le nostre finanze pubbliche né attuato riforme di struttura in grado di innalzare il nostro potenziale di crescita. Il nostro profilo di rischio, in assenza di una ripresa vera (e non del simulacro avuto sinora), è destinato ad aumentare.


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