di Andrea Gilli e Mauro Gilli
Sulle parole di Stanley McChrystal, e sulle loro conseguenze, hanno scritto quasi tutti. Con un giorno (o due, a seconda del fuso orario) di ritardo, diciamo anche noi due parole.
Innanzitutto, per chi se li fosse persi, i due commenti più autorevoli sono ovviamente quelli di Stephen M. Walt e di Peter Feaver.
Leggendo la notizia sulle agenzie, la nostra prima reazione è stata la seguente: o McChrystal era ubriaco oppure l’ha fatto di proposito. A quanto pare, in effetti l’intervista è stata rilasciata durante un tragitto che agevolava stati d’animo un po’ sopra le righe. Resta da capire se, comunque, ci fosse la volontà di rilasciare quei dettagli o meno.
Se così fosse, allora la verità è semplice: McChrystal ha cercato un’ottima scusa per farsi licenziare. Sia come sia, la faccenda ha almeno tre lati da approfondire.
In primo luogo, come titola Walt, qui siamo di fronte a uncivil-military relations. Per Civil-Military Relations si intende il controllo politico delle forze armate. Con una letteratura abbastanza vasta che va da Huntington fino a Janowitz per poi terminare proprio con alcuni lavori di Feaver, gli scienziati politici hanno a lungo studiato i rapporti tra forze armate e politica. Le parole abbastanza prive di rispetto pronunciate verso Biden ma anche verso tutta la casa Bianca sono deplorevoli. E solo queste, da sole, giustificano le dimissioni di McChrystal.
C’è dell’altro, però. Come osserva Walt, se McChrystal è così frustrato, allora significa che le cose stanno andando davvero male. In effetti, la situazione in Afghanistan è oramai in caduta libera e sembra davvero difficile pensare ad un suo miglioramento. Soprattutto, tornando sulle relazioni civili-militari, sembra che McChrystal fosse frustrato dai continui vincoli posti dai politici. La teoria di Huntington sulle relazioni tra forze armate e politica vorrebbero quest’ultima definire gli obiettivi, che però poi verrebbero raggiunti attraverso le decisioni operative dei generali. Se invece la politica interviene sulle scelte operative, siamo al collasso. Questo elemento ci porta direttamente al terzo punto: il futuro.
Il dato che ci pare più interessante dell’intera intervista riguarda gli screzi con l’attuale ambasciatore a Kabul, l’ex-generale Eikenberry. McChrystal si è sempre detto favorevole ad un aumento di truppe: il famoso rapporto McChrystal andava proprio in questa direzione. Eikenberry è però sempre stato contrario, schierandosi, non a caso, con i politici.
Se Jonathan Caverley della Northwestern University ha solo minimamente ragione, le democrazie svolgono male la counter-insurgency perché non sono disponibili a mettere boots-on-the-ground. L’opposizione a McChrystal andava esattamente in quella direzione. Con l’eliminazione di quest’ultimo, la situazione pare incerta. Obama probabilmente temeva che gli Stati Uniti sarebbero finiti per fare counter-insurgency ancora peggio. Proprio per questa ragione, temendo anche un rafforzamento di Eikenberry, ha probabilmente voluto sostituire McChrystal con Petraeus.*
Che quindi McChrystal si sia voluto fare fuori da solo o abbia commesso un errore, al momento il dato sembra essere un altro: c’è una nuova ipoteca sulla guerra in Afghanistan.
Petraeus risollevò le sorti del conflitto iracheno. Le domande sono due: ci riuscirà anche in Afghanistan. E soprattutto, fu davvero merito suo in Iraq?
* Commentiamo, a caldo, la notizia della nomina di Petraeus al posto di McChrystal. Sempre rimanendo nel campo delle relazioni civili-militari, la mossa dà una forte credibilità ad Obama che in veste di commander-in-chief, non si fa problemi a promuovere chi, in passato (quando era senatore), non aveva avuto remore a criticare. E’ una mossa coraggiosa, a nostro modo di vedere che dà prova di vera leadership. Come rileva Danger Room però Petraeus sarebbe molto meno attento di McChrystal alla counter-insurgency. Il rischio, dunque, è esattamente quello suggerito poc’anzi: che gli Stati Uniti tornino a fare una pessima COIN.
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