di Andrea Gilli
Sull’International Herald Tribune di ieri ho letto una notizia particolarmente interessante. In Afghanistan sarebbero state trovate delle enormi riserve di numerosi metalli e materie prime. La notizia è interessante per tre ragioni.
In primo luogo, governo locale e attori internazionali stanno già celebrando la scoperta. L’idea di fondo è che questa nuova ventata di ricchezza possa sollevare le sorti del Paese.
Un breve sguardo alla letteratura in materia, però, fa dubitare sulle reali possibilità di questo epilogo. James Fearon ha studiato a fondo il ruolo che le materie prime possono avere sulle guerre civili. Le sue conclusioni sembrano andare esattamente nella direzione opposta a quella sperata. I War Lords si faranno ancora più aggressivi per mettere le mani su queste rendite. E lo stesso varrà per i Talebani che in queste miniere vedono una facile fonte di sostentamento per la loro causa e per la possibile indipendenza del loro governo. La lotta per queste risorse, dunque, acutizzerà le divisioni etniche e politiche. E il risultato finale sarà una situazione tipo Congo.
Per assurdo, dunque, questa manna dal cielo può non essere affatto una manna, ma piuttosto un colpo di mannaia sul processo di sviluppo e integrazione politica che il Paese sta attraversando.
Il terzo dato è in parte sconnesso, ma pone una domanda relativa a quest’ultimo punto. Adesso che l’Afghanistan ha una sua ragione in più di essere considerato, i Paesi occidentali continueranno a pensare di andarsene o vorranno rimanere?
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